Teorie delle decisioni

In questo periodo sto scrivendo parecchio su LinkedIN. Capita che, dopo qualche tempo, riprenda qualcosa qui, se mi pare valga la pena conservarlo. Questo è il caso.

Se dovessi riassumere in un tema generale in che cosa consiste il mio lavoro, la sintesi suonerebbe così: mi occupo di processi decisionali nelle organizzazioni.

E allora, magari potrebbe essere utile dare un’idea generale di quali siano i grandi temi in gioco quando si parla, appunto, di decisioni.

Il taglio che trovo più proficuo per costruire un framework metodologico coerente è quello di suddividere le teorie delle decisioni in tre grandi famiglie:

𝟭) 𝗟𝗲 𝘁𝗲𝗼𝗿𝗶𝗲 𝗴𝗲𝗻𝗲𝗿𝗮𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶
Sono quelle teorie che si occupano delle decisioni come processo cognitivo individuale (pur sempre immerso in un contesto e in un ambiente).
Il focus è su due ambiti principali:
– il 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗲𝗻𝘂𝘁𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶
– le 𝗳𝗮𝘀𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗿𝗼𝗰𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲 (problem setting, problem solving, decision taking)

Il tema principale è quello 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗶𝘁𝗮̀ 𝗲 𝗱𝗲𝗶 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗺𝗶𝘁𝗮𝗻𝗼 (fattori emotivi, fattori cognitivi, bias cognitivi).

𝟮) 𝗟𝗲 𝘁𝗲𝗼𝗿𝗶𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗻𝗲𝗶 𝗴𝗿𝘂𝗽𝗽𝗶
Si occupano dei processi decisionali nelle situazioni in cui sono coinvolti più attori.
Entra in gioco il tema della 𝗿𝗲𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲.
La dinamica diventa, dunque: contenuto, processo, relazione.
I temi principali che, sia da un punto di vista accademico che pragmatico, hanno un maggiore risalto sono:
– Il trade off-tra 𝗱𝗶𝗿𝗲𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶𝘁𝗮̀ 𝗲 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲𝗰𝗶𝗽𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲
– La dinamica 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗲𝗻𝘀𝗼 / 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗼𝗿𝗺𝗶𝘀𝗺𝗼
(di queste tematiche mi sono occupato nel mio libro Compito e Relazione)

𝟯) 𝗟𝗲 𝘁𝗲𝗼𝗿𝗶𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗶𝗻 𝘀𝗶𝘁𝘂𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗹𝗶𝘁𝘁𝗼
Si tratta di un sottoinsieme delle teorie delle decisioni nei gruppi, che focalizza una particolare tipologia di relazione. La relazione conflittuale, appunto. Che si caratterizza, rispetto alle altre, per la presenza di 𝗮𝘀𝘀𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗺𝗼𝘁𝗶𝘃𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗮𝘀𝘁𝗮𝗻𝘁𝗶.
Qui il tema del trade-off tra direttività e partecipazione si traduce nelle modalità per affrontare il conflitto: potere / persuasione / negoziazione. Le principali teorie sulla negoziazione afferiscono proprio a quest’area.

Le tre parole chiave che definiscono teorie e modelli sono: 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗲𝗻𝘂𝘁𝗼, 𝗽𝗿𝗼𝗰𝗲𝘀𝘀𝗼, 𝗿𝗲𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲.
In particolare, la dinamica tra contenuto delle decisioni e relazioni con le altre parti in gioco è il cuore di tutte le scelte più rilevanti che riguardano il processo.
In sintesi, il tema è: 𝗰𝗼𝘀𝘁𝗿𝘂𝗶𝗿𝗲 𝘂𝗻 𝗽𝗿𝗼𝗰𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗼𝘁𝘁𝗶𝗺𝗶𝘇𝘇𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗮𝗴𝗹𝗶 𝗼𝗯𝗶𝗲𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶 𝗹𝗮 𝗱𝗶𝗻𝗮𝗺𝗶𝗰𝗮 𝘁𝗿𝗮 𝗲𝗹𝗲𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗲𝗻𝘂𝘁𝗼 𝗲𝗱 𝗲𝗹𝗲𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗿𝗲𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗶.

Che, detto così, sembra facile. Non lo è.
(Questo dovevo scriverlo per forza: se lo fosse, che ci starei a fare io?)

Caro HR, ti scrivo…

Questa cosa l’ho postata su LinkedIN qualche settimana fa.
Sembra che abbia suscitato un certo interesse.
Per questo, la riprendo qui, in una versione leggermente più lunga (che non c’è il limite di caratteri dei post a contenere la mia logorrea). Così, se qualcuno se la fosse persa…

Cara o caro HR manager, specialist, business partner, (insomma, quella o quello che “le persone al primo posto”),
ti scrivo, così entrambi ci distraiamo un po’…

E lo faccio per cercare di chiarire un concetto, sperando ti sia utile.
Quando mi chiami a fare formazione alle tue persone ti stai creando, con le tue mani, un bel problema.
Sì, perché la formazione (di questa cosa sono sicuro come di poche altre al mondo) non risolve nessuna delle questioni per cui di solito gli HRqualcosa chiamano quelli che fanno il mio mestiere. E questo è tanto più valido se si tratta delle cosiddette soft skills (l’ho già detto, vero, che questo termine mi provoca la comparsa di bolle bluastre sulla schiena?).
No, le tue persone non diventeranno più brave a gestire il loro team dopo un corso su come gestire i loro team. E nemmeno più efficienti nell’utilizzo del loro tempo. E, probabilmente (anche se qui la cosa è un po’ diversa) neppure diventeranno più brave a negoziare e a progettare presentazioni. Per dire le cose che, di solito, insegno io.
Anzi, c’è la non proprio remota possibilità che, uscite di lì, le persone, si sentano un po’ più frustrate di quando sono entrate.
E questo se tutto va bene.
Se, cioè, io ho fatto discretamente il mio mestiere.
Non ho, quindi, proposto ricette in 5 punti con cui da domani diventeranno il Cristiano Ronaldo (ah, no, ha sbagliato il rigore. Diciamo lo Jannik Sinner, che va più di moda, anche se non ha vinto a Wimbledon) della gestione del team, del tempo, della negoziazione, del … (mettici quello che vuoi tu).
E non ho propinato nessuna omelia su leadership risonante, gentile, visionaria, empatica e sailcielochecosaltro (ah, mi dici che dovevo propinargliela, che c’è scritto sul contratto?).
E non ho nemmeno spiegato quali sono le cinque, undici, ventisei caratteristiche del leader infallibile (che, quelle, non ce le ha tutte neanche Sinner).
No, ho fatto discretamente il mio mestiere: sono magari riuscito a fare crescere un minimo di consapevolezza delle dinamiche che, probabilmente, si sono trovate o si troveranno, le persone, a dover affrontare se hanno qualcuno che, dentro all’organigramma, sta proprio un gradino sotto di loro (si fanno ancora, vero, gli organigrammi?).
Ho dato un nome alle questioni, ho messo in campo alternative, ho condiviso un linguaggio.
Se è andata di lusso, potrei essere riuscito perfino a costruire con loro un sistema di conoscenze (un framework, come dicono quelli che parlano bene) dove collocare le singole questioni e comprendere in che relazione stanno con altre singole questioni.
Così poi tutto sembra almeno un pochino più chiaro o, almeno, meno confuso.

Ecco, anche se ci sono riuscito, probabilmente ti ho creato un problema.
Perché poi, quando le cose hanno un loro nome e tutto sembra un po’ meno confuso, le aspettative si alzano.
Perché la gente è strana: se tu le mostri quali sono le leve che possono darle una mano a gestire il suo team, il suo tempo, le sue negoziazioni, poi questa si aspetta di avercele a disposizione, quelle leve.
Che ci sia un sistema, un’organizzazione, che la supporta nel fare quelle cose lì.
Che chi sta un gradino sopra nell’organigramma quelle cose lì le faccia per primo.
Che le idee scendano dalle slide e diventino informazioni, processi, organizzazione.

Te l’ho detto: la gente è strana.
E questo è un bel problema, perché proprio quelli che tu pensavi che, “adesso che gli ho fatto fare il corso, busseranno un po’ di meno alla mia porta”, guarda caso, bussano di più.
E poi, cosa irritantissima, hanno un’idea piuttosto precisa di che cosa chiedere…

Condividerai con me che tutto questo è piuttosto seccante.
Ecco, te l’ho detta prima. Così lo sai.
Adesso, se vuoi, qui sotto trovi la mia mail.

Ti auguro una splendida giornata

Luca

L’eterno confronto tra potere e leadership

Il fatto che un bravo giornalista, serio e rigoroso, come Dino Pesole (Radio 24), nella sua trasmissione “A conti fatti. La storia e la memoria dell’economia“, abbia voluto scambiare con me quattro chiacchiere sul tema del potere e della leadership mi dà grande piacere.

Il titolo della puntata è lo stesso di questo post e, se vi va di ascoltarla, la trovate qui sotto.

Insomma, Fate pace con il potere prosegue il suo viaggio.

Lo devo proprio dire: questo libro mi sta offrendo tante occasioni per condividere idee con persone davvero interessanti.
Che è una delle cose belle di scrivere e di fare il mestiere che faccio.

Che il viaggio continui, dunque…

 

Intervista a Luca Marcolin – FBU

Il 27 maggio scorso sono stato ospite di Family Business Unit e di Luca Marcolin, per un’intervista con a tema il potere nelle imprese di famiglia (e, più in generale, nelle organizzazioni), sulla scorta delle idee che ho esposto in Fate pace con il potere.

Conversazione (come sempre accade con Luca) molto stimolante.

È disponibile, per chi volesse, sul canale YouTube di FBU

F******g genius

Il 27 marzo si è spento Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia (primo psicologo a vincerlo) e vero e proprio gigante del pensiero di questi ultimi 50 anni. Di quelli sulle cui spalle è comodo appoggiarsi.
E, infatti, ci appoggiamo in tanti (una vera folla, a dirla tutta).

Le sue ricerche hanno contribuito a gettare un po’ di luce su come si muove quello strano animale grigio che ci portiamo nel mondo tra le orecchie, specialmente quando si tratta di decidere, ma non solo. E ci hanno mostrato come si muova in maniera bizzarra, anche se, in un certo senso, prevedibile.
Ne ha dette tante, bellissime, provocatorie.
Per questo lo citiamo tutti, anche a sproposito (succede a tutti questi cervelloni).

E io non mi sottraggo.
Voglio sottolineare due pezzi del suo pensiero: il problema delle pallottole d’argento e quello dell’overconfidence. E, poi, porre una questione

Pallottole d’argento

Per pallottole d’argento intendo quelle ricette semplici, fatte di pochi ingredienti e di “leggi” che promettono, se applicate, di portare a risultati straordinari, magari in pochissimo tempo.
È chiaro come un approccio di questo tipo ben risponda al bisogno di certezze e di appigli sicuri che, specie in tempi incerti, si manifesta tra chi, per lavoro, deve prendere decisioni.

Ecco che cosa ne pensa Kahnemar (copio da “Pensieri lenti e veloci“):

I consumatori sono affamati di messaggi chiari sui fattori che determinano il successo o il fallimento negli affari, e hanno bisogno di storie che diano loro l’impressione, per quanto illusoria, di averci capito qualcosa. […]

L’effetto alone e il bias del risultato si combinano per spiegare lo straordinario fascino esercitato dai libri che cercano di ricavare princìpi operativi dall’analisi sistematica di attività economiche di successo. […]

Le storie dell’ascesa e del crollo delle industrie toccano il cuore dei lettori, offrendo loro quello di cui ha bisogno la mente umana: un semplice messaggio di trionfo o fallimento, che identifichi cause chiare e ignori il potere determinante del caso e dell’inevitabile regressione verso la media. Questo tipo di storie induce e alimenta l’illusione della comprensione, impartendo lezioni di pochissimo valore ai lettori bramosi di crederci.

Overconfidence

Copio dall’articolo Don’t Blink! The Hazards of Confidence, scritto da Kahneman per il New York Times nel 2011:

La fiducia che sperimentiamo mentre formuliamo un giudizio non è una valutazione ragionata della probabilità che esso sia corretto. La fiducia è un sentimento, determinato principalmente dalla coerenza della narrazione e dalla facilità con cui viene alla mente, anche quando le prove a supporto della narrazione sono scarse e non affidabili. Il bias della coerenza favorisce l’overconfidence. Un individuo che esprime una fiducia elevata probabilmente ha una buona narrazione, che potrebbe essere vera o meno. […]
Spesso interagiamo con professionisti che esercitano il loro giudizio con evidente sicurezza, talvolta vantandosi del potere della loro intuizione. In un mondo pieno di illusioni di validità e capacità, possiamo fidarci di loro? […] Le persone inventano storie coerenti e fanno previsioni sicure anche quando sanno poco o nulla. L’overconfidence nasce perché le persone spesso sono cieche alla propria cecità. […]

La questione:

Quanti dei nostri libri, quanta della nostra formazione, quanti dei messaggi di quelli che fanno il nostro mestiere, in fondo in fondo, non fanno che alimentare questi due fenomeni?
Naturalmente, sempre citando Kahneman ogni volta che si può…

Post scriptum
E pensare che molti dicono che il vero genio fosse il suo collega e amico Amos Tversky, con cui Kahneman ha condiviso i primi, ruggenti, anni di ricerche e sperimentazioni. Malcolm Gladwell ha scritto che tra i suoi colleghi fosse molto popolare il Test di intelligenza che porta il suo nome: il test di intelligenza di Tversky, appunto. L’enunciato è, più o meno, questo:

Test di intelligenza di Tversky

Tu sei tanto più intelligente quanto meno tempo impieghi, in una conversazione con Tversky, ad accorgerti di essere meno intelligente di lui

per dire…

Adesso Daniel ha raggiunto il suo amico Amos. Immagino che, di là, ci sia una stanza in cui sta la gente così. Tutti insieme, a scambiarsi idee.
Sarebbe bello che, sulla porta, ci fosse scritto qualcosa come: F******g geniuses inside

Fate pace con il potere

Post totalmente autoreferenziale, scusatemi…

Il fatto è che il 19 aprile sarà disponibile il mio nuovo libro.
So che non vedevate l’ora 😉
In questa newsletter, quindi: un piccolo spoiler sul libro e la possibilità, per chi lo desidera, di partecipare alla presentazione online che terrò mercoledì 10 aprile alle 17.00 (via Zoom)
Il link per l’iscrizione è questo
A chi vorrà esserci invierò, a qualche giorno dall’evento, una mail con il link per partecipare.
Ah, tra chi sarà collegato sorteggerò anche, dopo la diretta, tre copie del libro (il mio consulente di marketing mi ha detto che questa cosa dovrebbe attrarre un sacco di gente… sarà vero?).

… quasi me ne dimentico: la prefazione me l’ha scritta il mio dean, Federico Frattini… è una cosa che mi fa una sacco di piacere

Il libro

Fate pace con il potere
Questo è il titolo.
E il sottotitolo è: Contro la retorica della leadership

Una provocazione, quindi. Cerco di spiegarne i motivi nella quarta di copertina:

Il potere non gode di buona fama. Affermazioni come «meno potere e più leadership», elenchi di distinzioni tra l’essere capo e l’essere leader (tutte, naturalmente, a favore di quest’ultimo) e ricette preconfezionate su come condurre un gruppo al successo riempiono libri, articoli, post. La realtà della vita – nelle organizzazioni così come nei rapporti personali – è però ben diversa. Il potere esiste, eccome. Alimenta le decisioni, innerva le relazioni, influisce sui comportamenti. Spesso peraltro in modo positivo. Fate pace con il potere è dedicato a questo convitato di pietra, per comprenderlo nei suoi elementi costitutivi, per capire come agisce, per misurarlo, conquistarlo quando è necessario, ed esercitarlo in modo efficace. Perché giocare il gioco del potere è il modo più pratico per far sì che le cose accadano. Un libro per superare la retorica della leadership e scendere invece sul terreno della vita quotidiana di gruppi, aziende, associazioni, partiti politici. Un libro per imparare a leggere le organizzazioni per come sono davvero, e non per come ci piacerebbe che fossero.

I contenuti

Il libro parte da alcuni assunti:

  • potere, sia nel linguaggio quotidiano, che in molta letteratura manageriale, è una parola che ha assunto un significato sostanzialmente negativo, spesso contrapposto al valore positivo assunto dalla parola leadership;
  • in realtà il potere è una dinamica relazionale che innerva qualsiasi tipo di organizzazione sociale ed è uno strumento come un altro per far sì che le organizzazioni funzionino e lo facciano in modo efficiente. Va, quindi, innanzitutto conosciuto (visto che attorno alla sua definizione circola parecchia confusione) e, poi, rivalutato;
  • inoltre, la leadership non è una struttura relazionale contraria al potere, ma è, essa stessa, una forma di potere (nella definizione del libro, la leadership è una forma di potere fondata su uno scambio di beni simbolici, e basata sulla moneta del consenso). Nulla di strutturalmente diverso, quindi, dalle altre forme di potere.

Sulla base di questi assunti, il libro è diviso in quattro parti:

Prima parte
Tassonomia del potere

Viene condivisa una definizione di potere e vengono, quindi, delineate le sue caratteristiche e le dinamiche della relazione di potere.
Alla fine di questa parte il lettore ha a disposizione una griglia di lettura della relazione di potere che consente di comprenderne gli elementi costitutivi, i meccanismi di funzionamento, le diverse articolazioni e le caratteristiche della relazione stessa.

Seconda parte
La conquista e la gestione del potere

Questi capitoli sono dedicati a due temi principali:

  • come far crescere il proprio potere potenziale (la quantità di potere a disposizione) attraverso la crescita:
    • delle risorse a disposizione dei soggetti detentori del potere;
    • della credibilità del potere verso i soggetti che lo subiscono;
    • della desiderabilità delle risorse di potere per i soggetti che lo subiscono;
  • come esercitare il potere in maniera efficiente: come, cioè, trasformare le risorse di potere (potere potenziale) in condotte e comportamenti tenuti da chi subisce il potere (potere attuale) al minor costo possibile.

Terza parte
La cattiva fama del potere

In questi capitoli analizzo quali sono i fattori che conferiscono al potere un’aura di negatività:

  • alcune confusioni nella definizione del potere, che, quindi, attribuiscono al potere attributi che non sono suoi;
  • alcune comode abitudini (quelle, per esempio, di trovare soluzioni semplici a problemi complessi o di utilizzare narrazioni agiografiche come casi di successo) che mal si adattano al tema del potere;
  • soprattutto, però, la confusione, presente in molta letteratura manageriale, tra le cose come sono e le cose come ci piacerebbe che fossero, che porta a descrizioni idealizzate delle organizzazioni.

Quarta parte
Leadership e consenso

In questa parte analizzo il tema della leadership come forma di potere. Non, quindi, una trattazione sulla leadership in generale, ma sul suo rapporto con il consenso (un approccio politologico alla leadership).

Oltre ad una parte tassonomica, in cui delineo le modalità con cui si costruisce e gestisce il consenso e le tipologie di consenso (che generano tre forme di leadership: carismatica, ideologica, pragmatica), presento, proprio sulla base di queste definizioni, la mia critica alla leadership come strumento aprioristicamente migliore rispetto alle altre forme di potere per condurre un gruppo o un’organizzazione.

Spero di essere stato convincente…

Se è così, come dicono quelli che parlano bene, save the date…

Mercoledì 10 aprile dalle 17.00 alle 18.00

Ancora una volta, il link per partecipare

Le mani nel conflitto

Su Sic dixit, il magazine del PMI SIC, un’intervista in cui parlo di conflitto e delle modalità per affrontarlo.

Le mani nel conflitto: potere, persuasione, negoziazione

Il magazine, in formato pdf, è scaricabile a questo link. L’intervista è a pagina 15.

Come sempre, se avete commenti e osservazioni, vi invito a lasciarli qui sotto.

Law&HR: intervista su Compito e Relazione

Sul Law&HR, nuova rivista edita da SEAC, Giuliano Testi mi ha intervistato alcune delle tematiche che ho trattato in Compito e Relazione.

Il tutto si può scaricare da qui.

Grazie a SEAC ed a Giuliano per l’ospitalità!

La matrice dei processi di problem solving e innovazione

Nei miei post precedenti per Econopoly – Il Sole 24 ore ho descritto due coppie di approcci ai processi di problem solving e di innovazione focalizzati, rispettivamente, il primo sulla tipologia di relazione che si instaura tra i membri di un team durante questi processi (approccio imparziale oppure approccio parziale), il secondo sulla tipologia di apporto ricercato in termini di contenuto (ricerca oppure creatività).
Dedico un ultimo post a fondere queste due dimensioni in una matrice che si potrebbe definire come una sorta di tassonomia delle tipologie di relazioni e di attori coinvolti nei processi di innovazione: la matrice dell’innovazione, appunto.

Il link al post su Econopoly è qui: Innovazione, come dare spazio alla critica e limitare il conformismo

Se avete idee o pareri da condividere, potete farlo nei commenti qui sotto.

 

Creatività, ricerca e innovazione

Nel mio nuovo post su Econopoly – IlSole24ore sottolineo la differenza che esiste, almeno secondo il mio approccio, tra i termini creatività, ricerca e innovazione, e stimolo i team manager ad influenzare le dinamiche del gruppo in modo da alternare in maniera funzionale i diversi approcci.

Si tratta della prosecuzione ideale del post precedente, in cui si era parlato di consenso e conformismo.

Di nuovo, chiedo i vostri pareri e commenti. Potete lasciarli direttamente qui sotto.

Il link al post su Econopoly è questo.