Fare innovazione diffusa
Gianni Clocchiatti ha scritto un bel libro, pratico ma anche rigoroso.
Sono, quindi, felice ed onorato di averne potuto scrivere la prefazione, che riporto anche qui.
Fin dall’inizio di questo libro, Gianni Clocchiatti mette sul tavolo due parole chiave che stanno alla base della mission di molte organizzazioni (o, per lo meno, dei manager delle Risorse Umane di molte organizzazioni): creatività e partecipazione.
Verrebbe da dire che sono parole che godono di “buona stampa” nella letteratura manageriale almeno da un paio di decenni: chi non vorrebbe lavorare per un’organizzazione che premia la creatività e stimola la partecipazione?
Una parte importante del mio lavoro di docente in una business school consiste nel sottoporre ad un vaglio e ad una critica serrata le “mode manageriali”, nel tentativo di fornire a chi segue i miei corsi una cassetta degli attrezzi che contemperi un approccio teorico rigoroso corredato con strumenti pratici e pragmatici.
Per questo, lo devo confessare, quando Gianni mi ha sottoposto il suo progetto di un volume sull’innovazione e la creatività nelle organizzazioni, il mio approccio scettico e la mia esperienza mi hanno immediatamente riportato alla mente i gravissimi errori che ho visto commettere nel comunicare e gestire i processi di coinvolgimento dei collaboratori nella generazione di idee.
C’è un motto che condivido spesso con i miei studenti: non c’è errore peggiore di coinvolgere i collaboratori nei processi decisionali e poi negare il loro contributo senza dare un feedback. Si producono soltanto frustrazione e demotivazione. Meglio, piuttosto, imporre le proprie idee e soluzioni: si fanno meno danni.
Questo libro affronta di petto proprio questi temi.
Ecco perché, dopo lo scetticismo iniziale, mi è piaciuto molto leggerlo.
Mi ha lasciato due lezioni importanti.
Primo: la mappatura di una serie di strumenti utili a costruire un processo di raccolta delle idee che non lasci senza un feedback. Che non significa accettazione acritica di qualsiasi idea, ci mancherebbe. Significa semplicemente che il contributo dei collaboratori viene valorizzato non solo per il suo contenuto, più o meno interessante, ma per il fatto stesso di essere stato fornito.
Secondo: una metodologia che aiuta a riconoscere alle persone un ruolo da protagoniste (e non da comparse) nel processo di innovazione, affinché nessuno si senta manipolato da organizzazioni che prima chiedono un contributo ai propri collaboratori e poi non lo sanno valorizzare.
Grazie, quindi, Gianni, per questo bel lavoro.
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