Scommettiamo?
Al Festival dell’Economia di Trento dello scorso giugno, uno dei dibattiti in programma è stato dedicato al gioco d’azzardo e alla ludopatia.
Al di là dello scandalo della contraddizione di uno stato che vieta il gioco d’azzardo e dall’altra parte ne fa una fonte di entrate per miliardi di euro (invece che occuparsi di proteggere i cittadini dal rischio di dipendenze), sono usciti un paio di concetti che valgono una sottolineatura.
Il primo: sembra vi sia una correlazione inversa significativa, dimostrata da alcune ricerche, tra monte ore speso dalla popolazione in attività di volontariato e quantità di tempo e denaro dedicati al gioco d’azzardo. Il che pare mostrare come la solidarietà e il senso di comunità siano un antidoto potente alla ludopatia (molto più di una generica prevenzione basata sull’informazione, su cui magari tornerò in un prossimo post).
Il secondo è la sintesi che Natasha Dow Schüll ha fatto del suo lavoro di ricerca, che si focalizza (al contrario della maggior parte delle ricerche, che puntano l’attenzione sulle caratteristiche psico-sociali dei giocatori patologici) sui meccanismi e le relazioni che legano l’esperienza della ludopatia con gli algoritmi progettuali delle slot machine. Queste ultime, infatti, rappresentano una delle fonti principali delle patologie da gioco compulsivo. L’autrice di “Ingegneria della dipendenza” illustra alcuni dei trucchi utilizzati da chi progetta i software delle slot machine per indurre gli utilizzatori a dedicare più tempo al gioco e, di conseguenza, a investire più denaro. Soprattutto, sottolinea l’importanza di spostare l’attenzione dal giocatore allo strumento e all’interazione tra giocatore e strumento (inversione di prospettiva comprensibilmente non gradita alle imprese dell’azzardo).
I numeri, infine, sono impressionanti: ogni famiglia italiana giocherebbe in media 4.000 Euro l’anno, vedendosene restituire circa 3.000, con una perdita media netta di 1.000 Euro ogni anno, a cui vanno aggiunti i costi opportunità del tempo speso al gioco.
Nel dibattito si è sottolineato più volte come si tratti di una specie di imposta regressiva (le famiglie più povere, attratte dalla possibilità di cambiare il proprio destino, giocano più delle famiglie ricche), ma volontaria. E questo rende impopolare qualunque intervento politico deciso: recuperare il gettito significherebbe sostituire una tassa pagata, dopotutto, di spontanea volontà da parte dei cittadini con un’altra coattiva (visto che di spending review ormai non se ne parla da un po’).