Gli ingredienti dell’intelligenza manageriale

L’intelligenza manageriale, secondo una recente intervista di Giuseppe Cristoferi, presidente di Elan International, nasce dalla combinazione di tre fattori:

  • il pensiero critico e la capacità di trasformarlo in azione
  • la capacità di cogliere la complessità dei rapporti interpersonali, lavorando con e attraverso le persone (l’intelligenza sociale)
  • la valutazione continua di se stessi per adattare il pensiero e l’azione al contesto in cui si opera (l’intelligenza introspettiva)

Ne emerge, sempre per Cristoferi, una rivalutazione della componente cognitiva e razionale, opposta rispetto alla recente insistenza sulla intelligenza emotiva e sugli aspetti più legati alla personalità o alle capacità empatiche.

Fonte: Espansione

Meglio i soldi o lo status?

A proposito del dilemma (che si pone di fronte a molti fondatori di imprese) tra l’essere ricco e l’essere re, su Scientific American Mind & Brain si dà conto di alcune recenti ricerche che dimostrano per la prima volta come noi processiamo il guadagno e lo status sociale nella stessa area del nostro cervello (lo striatum), e che probabilmente mettiamo a confronto l’uno e l’altro quando prendiamo delle decisioni.
Che cosa è più importante, allora? Il guadagno o la reputazione e lo status?
Secondo due studi pubblicati sulla rivista Neuron potrebbe essere proprio lo status a prevalere.
Il che spiegherebbe molte delle considerazioni che abbiamo svolto nel post precedente.
E che, in termini di dinamiche di leadership e di strategie di motivazione potrebbe avere la sua bella importanza.

Diversità

Lunedì scorso, con un gruppo di Aiesec Pavia, abbiamo ragionato di intercultura e valorizzazione delle diversità.
Ne sono emerse alcune riflessioni interessanti.

La prima: i "bias di conferma" (cioè quei processi mentali che consistono nel prendere atto delle informazioni ricevute e selezionarle in modo da porre maggiore attenzione e, quindi, attribuire maggiore credibilità a quei dati che confermano le proprie credenze e, viceversa, ignorare o sminuire quelli che le contraddicono) sono un meccanismo potentissimo di rinforzo del pregiudizio.

La seconda: bisogna distinguere tra atteggiamenti consci (quello che "scegliamo" di credere) e atteggiamenti inconsci (le associazioni immediate, automatiche, che facciamo prima di avere il tempo di pensare). L’Implicit Association Test, dimostra che non sempre questi ultimi vanno esattamente d’accordo con i primi.

La terza: nella comunicazione (anche, e forse soprattutto, in quella interculturale) è importantissimo saper distinguere i messaggi che riguardano la relazione dai messaggi che riguardano il contenuto. Comprendere quanto le intenzioni comunicative di un interlocutore riguardino il contenuto (ciò che sto dicendo) o quanto riguardino la relazione (le dinamiche di potere, di leadership, di status…) consente di relazionarsi in maniera efficace ed appropriata.
Succede, invece, concentrare tutta la propria attenzione di ascoltatori sui contenuti, senza comprendere il messaggio relazionale. Questo, di solito, è un buon modo per alzare barriere.

Successo anche a voi?

 

Self leadership secondo Dilts [2]

In questo post ho accennato alla definizione di self leadership data da Robert Dilts.
A completare il quadro, il modello dei "livelli di pensiero" delinea una mappa precisa di quali sono i livelli dell’organizzazione coinvolti nella gestione degli obiettivi e del cambiamento.

In sintesi, nel momento in cui un’organizzazione si pone un obiettivo (o avvia un processo di cambiamento), entrano in gioco diversi fattori, che si collocano a diversi livelli:

  • I fattori ambientali determinano le opportunità che si presentano all’esterno o i limiti che gli individui o le organizzazioni devono riconoscere e a cui è necessario reagire (dove, quando).
  • I fattori comportamentali sono le azioni specifiche che si intraprendono allo scopo di raggiungere efficacemente un obiettivo (che cosa).
  • Le capacità sono connesse alle mappe, ai piani ed alle strategie mentali che portano ad agire con successo. Esse governano il modo in cui le azioni vengono selezionate e monitorate (come).
  • I valori e le convinzioni forniscono il rinforzo che supporta o, al contrario, inibisce particolari capacità. Alle convinzioni e ai valori sono collegati il perché si scelga un determinato percorso e le ragioni più profonde che portano le persone e le organizzazioni ad agire e perseverare (perché).
  • L’identità riguarda il senso che le persone e le organizzazioni hanno del proprio ruolo e della propria mission. Essa deriva dal modo in cui un singolo individuo o un gruppo percepisce se stesso (chi).
  • I fattori spirituali riguardano la vision che le persone e le organizzazioni hanno rispetto al più ampio sistema di cui fanno parte. Questi fattori si riferiscono al per chi e al per che cosa si siano intraprese determinate azioni o percorsi (il fine).

Uno dei compiti principali del leader è, secondo Dilts, quello di mantenere allineati questi livelli, di mantenere, cioè, la coerenza interna del sistema.
Diversamente, nasceranno dei sabotatori al processo di cambiamento, o dei "killer" che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi.
L’essenza della leadership, quindi, consiste nel mantenere allineati i livelli di pensiero, garantendo in questo modo la coerenza del sistema rispetto agli obiettivi e al cambiamento auspicato.
Il mancato allineamento di uno qualsiasi di questi livelli con i restanti può determinare un’interferenza nel raggiungimento degli obiettivi, della vision e della mission organizzative.
Un esercizio efficace della leadership e, di conseguenza, del cambiamento organizzativo, richiedono la capacità di riconoscere ed affrontare con strumenti specifici le questioni che sorgono a ciascuno di questi livelli.

 

Bisogni formativi

Spesso la progettazione di un percorso di formazione deriva dal fatto che un teamleader lamenti una scarsa propensione da parte dei collaboratori all’indipendenza e all’assunzione di responsabilità.
Che fare, allora?
Formarli, è spesso la risposta.
E così si riempiono aule (sia aziendali che interaziendali).
Ma quali possono essere le cause della scarsa propensione di cui sopra?

Provo ad abbozzare una risposta. Le cause possono essere di due tipi:
– le persone non posseggono le capacità necessarie a svolgere i compiti
– le persone non sono disponibili a svolgere i compiti.
Naturalmente, le due cause possono anche convivere: le persone non sono nè capaci nè disponibili.
E la mancanza di disponibilità, a sua volta, può avere cause diverse.
A me ne vengono in mente due:
– mancanza di autostima (non sarei in grado)
– mancanza di motivazione (chi me lo fa fare?)

E’ chiaro che, per ciascuno di questi casi, è necessaria un’azione formativa specifica: alla mancanza di capacità si ovvia con una formazione mirata a fare acquisire le skill necessarie a svolgere i compiti; alla mancanza di disponibilità è necessario dare risposte diverse (la scarsa autostima necessita di sostegno, la scarsa motivazione di incentivi, naturalmente non necessariamente economici).
Credo che a molti formatori sia capitato il caso di ritrovarsi in aula persone capaci, ma non disponibili. E, di solito, sono situazioni complicate da sbrogliare: di certo non è puntando sul trasferire nuove capacità che si cava il ragno dal buco.
Anzi, per dirla tutta, in questi casi spesso la richiesta di formazione serve da alibi per non andare più a fondo nell’analisi sia del grado di maturità del collaboratore, sia dello stile di leadership del teamleader.

A proposito di domande, quindi, chiedersi da dove venga la mancanza di indipendenza e di iniziativa, mi pare sia un buon inizio, specie per un formatore o per un teamleader. Siete d’accordo?

La leadership secondo McCullough

Il numero di Aprile di HBR Italia è ricco di spunti interessanti, a cominciare da un "Rapporto speciale sulla Formazione Manageriale 2008", di cui parlerò nei prossimi giorni.

Prima, però, alcune considerazioni dello storico americano David McCullough su quella che egli definisce la "Leadership senza tempo".
Ecco le caratteristiche che, secondo McCullogh, nel loro insieme ci danno una percezione chiara della prospettiva etica che accomuna i leader esemplari:

  • Senso della Storia, perché la Storia riguarda sia le persone, sia il rapporto tra causa ed effetto
  • Fortuna (il caso, la mano di Dio)
  • Capacità di sfruttare i momenti favorevoli
  • Capacità di riconoscere a prima vista il talento (e di giudicare le persone anche da come vivono l’insuccesso. I grandi leader non tollerano l’autocommiserazione, nè in se stessi nè negli altri)
  • Conoscenza, expertise, esperienza. Sapere, insomma, di che cosa si sta parlando (non solo accumulando informazioni, ma analizzando i problemi ed imparando a fare le cose sul campo)
  • Affidabilità, spina dorsale, forza di carattere (che significa anche coraggio di circondarsi di collaboratori esperti e capaci)
  • Sincero interesse per i propri collaboratori
  • Capacità di persuadere (Truman la definiva "la capacità  di far fare agli altri ciò che dovrebbero saper fare senza bisogno di dirglielo")
  • Ascolto. Fare le domande giuste e recepire ciò che dicono gli altri
  • Repulsione per l’avidità
  • Ambizione di eccellere

Ce n’è per tutti i gusti, insomma.
Una volta Robert Dilts ha detto che il successo è l’incontro tra un momento di fortuna e la preparazione meticolosa a quel momento.
Anche McCullough dedica un punto del suo elenco alla fortuna. Un punto. Il resto è preparazione meticolosa.

 

La scrivania del 2030

Su Job24 di ieri, un articolo di Michela Finizio (con intervista al sociologo Domenico De Masi) su come si trasformeranno gli ambienti di lavoro di qui a vent’anni.
Niente più scrivanie fisse, il vero ufficio diventerà la rete. Il lavoro potrà essere svolto ovunque, e l’atomizzazione (come la definisce De Masi) dei dipendenti sarà un dato di fatto.
Non so giudicare quanto questi scenari possano essere realistici, ma senz’altro se si realizzeranno avranno un grosso impatto sul nostro modo di parlare di leadership, teamwork, team building, time management.

Mi devo preoccupare?

Leadership dalle retrovie

Linda A. Hill, responsabile didattica della Leadership Iniziative della Harvard Business School, intervistata da HBR, delinea il suo ritratto del leader del futuro.
Innanzitutto, sostiene, dobbiamo mettere in discussione la nostra tradizionale concezione di un leader che guida un’organizzazione verso i suoi obiettivi, e pensare piuttosto che

la leadership consiste nel creare delle connessioni psicolgiche per motivare e ispirare i collaboratori, e la nostra efficacia in questo campo ha ricche connotazioni culturali. Sappiamo dalle ricerche che le aspettative dei collaboratori in merito al comportamento dei leader variano da un Paese all’altro. Ma abbiamo bisogno di ulteriori indagini sugli elementi universali e sugli elementi "locali" della leadership.

E, per superare gli stereotipi in cui il ruolo del leader è stato ingessato, la Hill propone due previsioni sulla natura della leadership nel prossimo mezzo secolo, che, a suo parere, sarà definita in parte da due concetti:

Condurre da dietro
Il leader è una persona che sa come creare un contesto o una cultura in cui altre persone vogliono e possono esercitare la leadership. In questo senso la leadership è un’attività collettiva, in cui soggetti diversi, a seconda dei loro punti di forza, assumono in momenti diversi la direzione del gruppo per portarlo là dove deve andare, anche senza dover attendere un segnale proveniente dall’alto. Per usare le parole della stessa Hill:

In effetti, condurre da dietro è un lavoro complesso e comporta grosse responsabilità e compiti strategici: stabilire chi deve (e, cosa altrettanto importante, chi non deve) fare parte del gruppo; definire i valori che informeranno il gruppo; sviluppare i talenti dei singoli componenti in moda che possano dare ottimi risultati nei rispettivi ruoli, fissare i confini delle attività del gruppo; e gestire le tensioni che sono insite nella vita del gruppo – decidendo, ad esempio, quando essere tollerante e quando essere severo, quando improvvisare e quando imporre una disciplina strutturata.

Questo esercizio della leadership "dalle retrovie", naturalmente, non è alternativo alla leadership tradizionale. Piuttosto, complementare. Certamente, però, gli scenari che ci attendono richiedono sempre più una leadership di questo tipo.

La leadership come genio collettivo.
Uno dei luoghi di elezione della leadership dalle retrovie è l’innovazione. Lì, per definizione, nessuno sa dove si vuole andare con esattezza. E l’innovazione è quasi sempre un processo di carattere collettivo più che individuale. Far funzionare un gruppo ad alto tasso di innovazione significa creare un ambiente in cui i componenti del team (che spesso sono delle vere e proprie star nei rispettivi campi) si sentano coinvolti nel costruire un vero e proprio talento collettivo, anche attraverso il ricambio nell’esercizio della leadership.

Leadership e tempo

Su HBR Italia, nel numero di luglio-agosto 2006, interamente dedicato a tematiche legate alla leadership, si può leggere un articolo interessante di John Hamm: “I cinque messaggi che i leader devono saper gestire”. Hamm sostiene che troppo spesso i leader aziendali non sono sufficientemente chiari su tematiche vitali e di grande importanza, generando così scompiglio e confusione all’interno dell’organizzazione. Le tematiche principali sulle quali è necessaria una comunicazione chiara, sintetica, a prova di malinteso sono:

  1. La struttura e la gerarchia organizzative
  2. I risultati finanziari
  3. La comprensione del leader per il proprio lavoro
  4. La gestione del tempo
  5. La cultura aziendale

E’ interessante notare come la gestione del tempo sia una delle tematiche chiave da presidiare.
Quanti leader sono consapevoli di quale impatto può avere sul gruppo non soltanto la loro gestione del tempo, ma anche i messaggi (e quindi la comunicazione) che loro inviano circa la gestione del tempo?
Mi è capitato di parlarne qualche tempo fa con alcune persone che si occupano di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro. Spesso formazione, informazione e addestramento vengono letteralmente spazzate via da leader che comunicano un rapporto concitato con il tempo, generando fretta e disattenzione.

 

 

Self leadership secondo Dilts [1]

Qualche tempo fa mi è capitato di sentire Robert Dilts parlare di Self leadership e livelli logici.
E’ stata una giornata interessante (con Dilts non è raro che accada).
Ecco alcuni spunti:

Definizione di leadership
Nel suo senso più ampio, la leadership può essere definita come l’abilità di coinvolgere gli altri nel processo di perseguire un obiettivo all’interno di un sistema più ampio o di un ambiente.
Schematizzando:

leadership_dilts.gif

 

Per essere in grado di padroneggiare tutti gli aspetti chiave della leadership, si devono interiorizzare una serie di abilità:

Padroneggiare il sè (i propri stati interni)
Allineare la visione e l’azione
Essere congruenti con il proprio messaggio
Acquisire consapevolezza delle proprie mappe mentali e dei propri assunti

Padroneggiare la comunicazione
Sviluppare abilità di comunicazione verbale e non verbale
Utilizzare in maniera consapevole i canali rappresentazionali
Interpretare e gestire i metamessaggi

Padroneggiare le relazioni
Essere in grado di assumere prospettive multiple
Comprendere i diversi stili di pensiero
Riconoscere le intenzioni positive

Padroneggiare lo spazio problema (il sistema)
Effettuare un’analisi complessiva del sistema
Individuare gli elementi e le tematiche rilevanti
Spezzettare gli obiettivi (chunking)

Tornerò sull’argomento con altri spunti.