Qualche riga su una delle mie letture di quest’estate: “Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares” di Fernando Pessoa.
Per fortuna a definirlo ci ha pensato Antonio Tabucchi, perché io proprio non avrei saputo come fare: una “autobiografia senza fatti di un personaggio inesistente”.
È un libro per nulla facile, in molti dei significati che questo aggettivo può assumere.
Una cosa, però, l’ho capita: Pessoa è uno che ti cambia il modo di leggere.
Non solo lui. Ma lui senz’altro.
E allora vorrei, adesso che sono arrivato alla fine, cercare di raccontarla, questa esperienza, (anche, e forse soprattutto, per chiarirla a me stesso).
All’inizio mi sono messo di buzzo buono: cercare di comprendere ogni pagina e seguire il filo dei pensieri di Soares/Pessoa, mettendoli uno dietro l’altro fino ad arrivare ad un qualche bandolo.
Dopo qualche decina di pagine ho realizzato che non ce l’avrei fatta, a meno di volerci dedicare i prossimi anni. Non dico che non ne sarebbe valsa la pena, ma avrei altri programmi.
Così ho cambiato sguardo. Mi sono lasciato cullare dai ragionamenti, cercando di isolare quelli che sentivo più miei per approfondirli: ritornarci su, rileggere, magari prendere qualche appunto. Scegliere fior da fiore, insomma.
Nemmeno questo, però, sembrava funzionare.
Confesso che stavo per abbandonare, quando sono caduto su questo frammento:
Di solito attribuiamo alla nostra idea dell’ignoto il colore delle nostre nozioni del noto. Se la morte la definiamo un sonno, è perché essa ci sembra un sonno dal di fuori; se chiamiamo la morte una nuova vita è perché ci sembra una cosa diversa dalla vita. Attraverso piccoli malintesi nei confronti del reale noi costruiamo le fedi e le speranze, e così ci nutriamo di croste che chiamiamo dolci, come i bambini poveri che giocano ad essere felici.
A dire il vero stavo scorrendo distrattamente. È stata l’ultima frase a fulminarmi: come i bambini poveri che giocano ad essere felici.
Non è solo la frase di per sé. È il modo con cui ci ho cozzato contro (è il modo con cui Pessoa ha voluto che ci cozzassi contro).
Questo, se si capisce, è il cambiamento nel modo di leggere che mi ha regalato questo libro. Da quel punto in avanti, ho proseguito così: un po’ come stare su una barchetta e galleggiare, una mano immersa nell’acqua, cullato nell’attesa (che non è un’attesa) di sentire qualcosa che ti sfiora il palmo, e raccoglierlo. Così. Senza scelta.
Ne ho trovati molti altri, nelle pagine seguenti, di questi oggetti.
Eccone uno, che ha sempre a che fare con la felicità:
Dopotutto ogni cosa ci viene data in relazione a ciò che diamo. Un piccolo incidente stradale che richiama sulla porta il cuoco di questa trattoria riesce a intrattenerlo più di quanto non mi intrattenga la contemplazione di una originalissima idea, la lettura del miglior libro, il più grato dei sogni inutili. E, se la vita è essenzialmente monotonia, in realtà quell’uomo è scampato alla monotonia più di me. E continua a sfuggire alla monotonia più facilmente di me. La verità non è sua e non è mia perché la verità non è di nessuno; ma la felicità è sicuramente sua.
Il saggio è colui che riesce a rendere monotona l’esistenza, poiché allora ogni piccolo incidente possiede il privilegio di stupirlo. Il cacciatore di leoni non prova più l’avventura dopo il terzo leone. Per questo cuoco monotono, una rissa nella strada ha sempre qualcosa di una modesta apocalisse. Chi non ha mai lasciato Lisbona farà un viaggio infinito sul treno che va a Benfica, e se costui un giorno si reca a Sintra ha la sensazione di avere fatto un viaggio fino a Marte. Il viaggiatore che ha percorso il globo, dopo cinquemila miglia non trova novità, trova soltanto delle cose nuove; un’altra volta la novità, la vecchiaia dell’eterno nuovo, ma il concetto astratto di novità è rimasto in mare con la seconda di esse.”
Per inciso, “La vecchiaia dell’eterno nuovo” potrebbe essere il titolo di un saggio sulla contemporaneità.
Un’ultima nota.
Mi sto godendo qualche giorno di vacanza.
Lo scorso lunedì mattina, sul presto, una passeggiata al lago. Solo io, il guinzaglio, e Belle attaccata dall’altra parte.
Una giornata limpida, la prospettiva di passarla senza impegni. Una forma di felicità.
Beh, mi sono chiesto se fossi felice, o piuttosto se stessi giocando ad esserlo, come i bambini poveri.
Per un secondo, vi assicuro, mi sono sentito dall’altra parte del guinzaglio.
Accidenti a Pessoa.
Fortuna che è durato solo un attimo…