In questo articolo su HBS Working knowledge, una tesi intrigante, che parte dalla domanda: dove andrebbero a finire i leader senza dei buoni follower?
Del tema avevano già parlato Jack Gabarro e John Kotter, in un articolo su Harvard Business Review intitolato “Managing your boss“, nel quale i due autori affermavano che:
- si deve capire il proprio capo, con i suoi obiettivi, le pressioni a cui è sottoposto, i suoi punti di forza e i suoi punti deboli, il suo stile di lavoro
- si deve capire sè stessi, i propri bisogni, i propri punti di forza e punti deboli, il proprio stile comportamentale, la propria disposizione verso l’autorità
- si deve sviluppare una relazione centrata su argomenti come la comunicazione, la comprensione delle reciproche aspettative, l’onestà, l’affidabilità, l’uso selettivo del tempo e delle risorse del capo.
Il dibattito è stato riacceso dal libro di Barbara Kellerman “Followership“.
Il fatto è che, sostiene l’autrice, i followers stanno guadagnando potere e influenza, mentre i leaders stanno perdendo potere e influenza.
Secondo la Kellerman esistono cinque tipi di follower:
- isolates (completamente distaccati)
- bystanders (meri osservatori)
- participants (si assumono impegni)
- activists (provano sensazioni forti e agiscono di conseguenza, sia pro che contro il leader)
- diehards (profondamente devoti al leader)
Secondo James Heskett, autore dell’articolo, il terzo tipo (participants) sembrerebbe offrire il maggiore potenziale nel lungo periodo in termini di relazioni produttive tra capo e subordinato, specialmente nelle grandi organizzazioni.
A giudicare dal numero e dalla qualità dei commenti all’articolo, il tema sembra caldo…