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Soddisfazione = Risultato – Aspettative

In questo periodo sto scrivendo parecchio su LinkedIN. Capita che, dopo qualche tempo, riprenda qualcosa qui, se mi pare valga la pena conservarlo. Questo è il caso.


Adesso scrivo una cosa di cui, lo so, mi pentirò.
È che più ne parlo con chi mi sta attorno, più questo mi pare un tema.
Parto da una formuletta:

𝗦𝗼𝗱𝗱𝗶𝘀𝗳𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 = 𝗥𝗶𝘀𝘂𝗹𝘁𝗮𝘁𝗼 (𝗽𝗲𝗿𝗰𝗲𝗽𝗶𝘁𝗼) – 𝗔𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗮𝘁𝗶𝘃𝗲
(𝑖𝑙 𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑖𝑛𝑜 𝑠𝑡𝑎 𝑝𝑒𝑟 “𝑚𝑒𝑛𝑜”)

Conseguenza: dove le aspettative sono troppo alte, qualsiasi risultato realistico non genererà alcuna soddisfazione.
Ho un sospetto, che ha a che fare con questa narrazione sulla guerra dei talenti, con il tema dell’Employer Branding, con come le organizzazioni si presentano ai candidati.
E il sospetto è questo: non è che stiamo alzando troppo le aspettative?
Non è che stiamo facendo quello che chi parla bene chiama overselling?
Ma mica con i clienti, che loro lo sanno, che siamo qui per vendere.
Intendo dire che quando ci approcciamo a qualcuno che vende, lo sappiamo bene che un po’ di esagerazione sta nel gioco delle parti. Sappiamo che ci presenterà il suo prodotto nel suo profilo più fotogenico (e probabilmente con qualche maquillage).
E gli facciamo, per così dire, la tara.

Noi, però, lo stiamo facendo con quelli che vorremmo come nostri collaboratori. Quelli, mica lo sanno, che siamo qui per vendere.
È che, appunto, siamo nella guerra dei talenti (almeno, questa è la narrazione condivisa). E più un mercato è competitivo e più l’overselling paga.
Se devi scegliere tra due aziende, dove vai? Da quella che ti promette meno (perché bada a non promettere più di quello che può mantenere) o da quella che ti promette di più? E che, magari, ti dipinge un lavoro (parlo soprattutto di chi vuole attrarre giovani) che Disneyland sembra Saigon in confronto (semicit. per quelli della GenX).

Lo sapete cosa?
Che i candidati (perché la gente, davvero, è strana: tu prometti e loro si aspettano che tu mantenga) poi pensano davvero che il risultato sarà almeno pari alle aspettative che hai generato.

Ed eccola qui, la cosa che adesso la scrivo e poi mi pentirò: tutto questo mi pare proprio stia diventando un problema.
Perché la narrazione sul lavoro sta, a me sembra, allontanandosi molto dalla realtà.
Nel migliore dei casi ne mostra solo il profilo più fotogenico.
Nel peggiore, maquillage. Anche pesante, a volte.

Ecco, l’ho scritto.
Date fuoco alle polveri…

Q.I., successo e il problema del talento

Outliers, l’ultimo libro di Malcolm Gladwell (Fuoriclasse. Storia naturale del successo, nella traduzione italiana) è ricco di spunti interessanti.
L’intero libro è giocato sulla relazione tra talento, duro lavoro e condizioni facilitanti che favoriscono il successo.
Non mancano provocazioni e deduzioni originali e spiazzanti.
Uno dei concetti che più mi ha incuriosito è la relazione tra Quoziente d’Intelligenza e successo.
La domanda è: chi ha un elevato Q.I. ha più probabilità di avere successo nella vita reale?
Sì, ma fino a un certo punto… letteralmente.

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Le 10 sfide nella gestione dei talenti

A proposito di leadership e gestione dei talenti, temi di cui mi sto occupando in questi giorni, ecco la lista delle 10 sfide da affrontare secondo Tamara J. Erickson.

  1. Attrarre e trattenere un numero sufficiente di collaboratori a tutti i livelli per venire incontro ai bisogni di una crescita organica e inorganica (cioè derivante da fusioni o da acquisizioni).
  2. Creare una value proposition che sia attraente per lavoratori di diverse generazioni. Questo significa andare incontro alle esigenze e preferenze di quattro diverse generazioni di lavoratori.
  3. Sviluppare una consistente pipeline di selezione e sviluppo della leadership.
  4. Integrare le capacità di coloro che mancano della profondità necessaria per assumere incarichi di leadership.
  5. Trasferire le conoscenze chiave e le relazioni.
  6. Arrestare l’esodo dei Gen X’ers.
  7. Ridisegnare la pratiche di gestione del talento per attirare e trattenere i Gen Y’s.
  8. Creare un luogo aperto ai boomers nella loro “seconda carriera”.
  9. Vincere la regola dei rapporti di lavoro brevi e dei frequenti cambiamenti.
  10. Convincere e coinvolgere gli executive che non sentono la sfida di passare da una strategia basata sull'”acquisto” dei talenti ad una che pone una maggiore enfasi sulla costruzione e la crescita

 

Trend nella formazione manageriale [2]

Asfor ha organizzato la seconda ricerca sui “Trend evolutivi della formazione manageriale”, e L’impresa ne rende conto nel numero 6/2008.
La ricerca si basa su focus group e interviste in 25 aziende.
Ecco, in estrema sintesi, i risultati emersi:

  • Strategie e priorità dell’impresa
    Il collegamente alle strategie e priorità dell’impresa dei programmi e degli investimenti in formazione è sempre più sentito: continua ad essere un tema rilevate e per certi aspetti critico.
    La valutazione dei bisogni formativi rimane un processo difficile, ma vitale per una efficace azione formativa.
    Il collegamento tra formazione e sistemi di valutazione, sviluppo e gestione del management è ancora debole.
    Il commitment del management si rivolge soprattutto alle azioni con ritorno nel breve periodo, in un’ottica più tattica che strategica.
  • Leadership
    Il tema della leadership non è ancora percepito come prioritario.
    Solo poche aziende hanno un modello formalizzato di leadership, con comportamenti attesi, valutati, premiati. In qualche altro caso si implementano “modelli manageriali di riferimento”.
    Si tende ad identificare la leadership con la capacità di gestire le persone (lead people).
  • Talent management
    Su questo tema quasi tutte le aziende sono sensibili ed attrezzate
  • Internazionalità e interculturalità
    Il tema è sentito, ma con livelli diversi di consapevolezza.
    La formazione fa da utile complemento (purché finalizzata e concreta), ma la vera strategia poggi sulle esperienze di lavoro all’estero.
  • Innovazione
    Esistono alcune best practice, ma, in generale, il binomio formazione-innovazione non trova terreno fertile
  • Sostenibilità ambientale e responsabilità sociale
    I temi paiono più una moda che un filone su cui investire in formazione
  • E-learning
    Suscita in interesse l’incrocio tra le tecnologie web 2.0 e le dinamiche sociale tipiche delle comunità di pratica e di interesse. Le communities vengono per lo più attivate su progetti specifici (ricerca e sviluppo di prodotto), ma, anche se siamo solo agli inizi, anche in ambiti funzionali o di specifiche popolazioni (es.: i neo-assunti).

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Nuovi leader crescono

In questo articolo su HBS Working Knowledge Martha Lagace riassume le idee emerse da due interviste a W. Earl Sasser e Das Narayandas, docenti agli Harvard Business School’s Executive Education programs. I due professori danno alcune indicazioni circa le capacità che il Program for Leadership Development della intende sviluppare.
Ecco, elencate, queste idee:

  • Le organizzazioni hanno successo se sono in grado di identificare, sviluppare e trattenere leader di talento.
  • Il talento rappresenta una chiave nel vantaggio competitivo delle aziende, per questo deve essere presente un vero e proprio processo per identificare e far crescere i leader del futuro.
  • Le organizzazioni di medie dimensioni sono quelle che hanno più difficoltà nell’identificazione dei talenti, il più delle volte per carenze nelle capacità di gestione delle risorse umane.
  • Ciò che fa la differenza nella leadership è la flessibilità negli stili di leadership, al fine di saper affrontare le sfide dell’economia globale, della rapida trasformazione di prodotti e servizi in commodities, dell’ambiente ipercompetitivo. La chiave di una carriera di successo è la capacità di assumere una varietà di stili di leadership al momento opportuno.

Su quest’ultimo concetto si basa il mio modo di affrontare i processi formativi, con il fine di sviluppare una sempre maggiore flessibilità comportamentale.