Articoli

Il principio del progresso

Su HBR Italia di maggio, un articolo di una vecchia conoscenza degli avventori del blog: Teresa Amabile.
L’autrice, insieme a Steven J. Kramer, rende conto dei risultati della ricerca a cui abbiamo già dedicato questo post, definendo quello che chiama Il principio del progresso:

[…] di tutti i fattori che possono stimolare le emozioni, la motivazione e le percezioni durante una giornata lavorativa, il più importante in assoluto è fare dei progressi in un lavoro ricco di significato. E più frequentemente le persone provano questo senso di progresso, più è probabile che siano creativamente produttive nel lungo termine. Che cerchino di risolvere un grande mistero scientifico o più semplicemente di realizzare un prodotto o un servizio di alta qualità, il progresso quotidiano – anche una piccolissima vittoria – può fare la differenza nel loro spirito e nella loro performance.

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La legge di Kanter

Il numero in edicola di Harvard Business Review è centrato sul tema dell’insuccesso: come affrontarlo, comprenderne i motivi e reagire prima possibile.
Si stratificano, su questo tema (come è comprensibile), livelli di lettura fortemente differenziati. Mi stanno interessando in particolare due temi, quello della resilienza e quello dei cosiddetti near miss (incidenti mancati), successi che potrebbero essere dovuti a circostanze fortunate e che occultano i reali rischi corsi. Ne scriverò nei prossimi giorni.
Per oggi, trascrivo soltanto un paio di brani dell’articolo di Rosabeth Moss Kanter “Coltivare una cultura della fiducia“:

La differenza tra vincitori e perdenti dipende da come si gestiscono le sconfitte.
Anche per le più grandi aziende e per i professionisti più avveduti, una lunga lista di successi è accompagnata da cadute, scivolate e piccoli passi indietro. […]

Ecco perché ho coniato la legge di Kanter: “Qualsiasi cosa può apparire come un mezzo fallimento”. […]

Vincitori di lungo periodo devono spesso affrontare gli stessi problemi dei perdenti di lungo periodo, ma rispondono in modo diverso […]

La resilienza non è semplicemente una caratteristica individuale o un fenomeno psicologico: è sostenuta od ostacolata dal sistema circostante. I team che vivono in una cultura di responsabilità, collaborazione e iniziativa sono più portati a ritenere di poter affrontare qualsiasi tempesta.

 

Gaudì… ad Harvard

 

Le riflessioni che abbiamo condiviso sulla mia visita alla Sagrada Familìa sono diventate un post per il blog di Harvard Business Review.

 

L’articolo lo trovate qui:

Leadership, Architected by Gaudì

 

Se volete lasciarmi dei commenti in inglese, vi chiedo di farlo direttamente sul blog di Harvard, mentre se volete commentare in italiano, questo è il posto adatto.

Costi opportunità

Su Harvard Business Review Italia, un bell’articoletto di Shane Frederick sul potere persuasivo dei costi opportunità.

Parte da un esempio: di fronte all’acquisto di uno stereo Frederick era indeciso se comprare un Pioneer da 1.000 dollari o un Sony da 700 dollari. Il commesso, allora, se ne esce con una frase del tipo:

Beh, la pensi in questi termini: preferirebbe avere il Pioneer o il Sony con in più 300 dollari in CD?

Ponendo la questione in termini di costo opportunità, la scelta diventa più chiara.

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Premiare il processo decisionale

Dan Ariely presenta spesso idee che provocano la riflessione.
Questa volta, in un articolo per Harvard Business Review, se l’è presa con il fatto che spesso i manager vengono valutati sulla base dei risultati delle loro decisioni, piuttosto che sulla qualità del processo decisionale, senza tenere conto del fatto che diversi fatti accidentali e imprevedibili potrebbero essere la causa della cattiva performance.

Quella che dovrebbe essere valutata, invece, è la qualità del processo decisionale che ha portato a quei risultati.

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Leadership, estroversione, proazione

Un breve, ma molto interessante articolo su HBR Italia di Dicembre, scritto da Adam M. Grant, Francesca Gino e David A. Hofman: I vantaggi nascosti di un leader tranquillo.
La tesi, risultato di due ricerche svolte dagli autori, infrange il luogo comune per cui gli estroversi sarebbero in assoluto i leader più efficaci.
In realtà, sostengono gli autori, l’estroversione è un tratto della personalità che favorisce l’efficacia in termini di leadership soltanto a condizione che il gruppo non sia proattivo.
In caso contrario, quando, cioè, i collaboratori sono attivi nel presentare idee e soluzioni, un leader introverso si dimostra più capace di ascoltare, apprezzare, motivare i collaboratori. I leader estroversi, spesso, si sentono minacciati da collaboratori proattivi.

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Confrontarsi con Steve Jobs

Dan Pallotta, sul suo blog per HBR, propone un’idea provocatoria, sotto il titolo “Stop comparing yourself with Steve Jobs“.

L’idea è questa: il confronto con grandi modelli di vita o di business produce soltanto frustrazione, demotivazione e, in ultima istanza, impedisce di esprimere il proprio vero potenziale.
Ammirare una persona e cercare di imparare ciò che può insegnarci è una cosa, paragonarsi ad essa un’altra.
La comparazione, secondo Pallotta:

demotiva, demoralizza, e in generale si porta via ogni goccia di entusiasmo e vitalità.

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Fare pace con il potere

Su HBR Italia di luglio/agosto, un articolo di Jeffrey Pfeffer (docente di Comportamento Organizzativo alla Graduate School of Business di Stanford) accende i riflettori (come ha fatto recentemente, in Italia, il libro di PierLuigi Celli “Comandare è fottere“, cui ho fatto cenno qui) sul tema del potere nelle organizzazioni.
La tesi è la stessa, non è possibile fare carriera o realizzare i propri obiettivi senza guardare in faccia alla scomoda realtà: per progredire è necessario ottenere ed esercitare potere.

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La leadership sull’esperienza

Sul blog The Conversation, (Harvard Business Review), Michael Fertik propone alcune riflessioni interessanti su come un giovane leader dovrebbe gestire le relazioni con colleghi più vecchi ed esperti.
Parte da un presupposto scontato (per lui), ma che già potrebbe essere una provocazione per molti:

Sai già che la vittoria dipende in misura non irrilevante dall’assumere persone migliori di te.
Se sei un giovane imprenditore o capo, questo comporterà l’assumere persone più vecchie e con maggiore esperienza di te, specialmente nelle funzioni più importanti della tua organizzazione.

Se questo è il presupposto, la gestione di persone con maggiore seniority ed esperienza è una sfida non di poco conto.

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A confronto con i modelli

In un discorso tenuto ai laureandi della Harvard Business School e riportato su Harvard Business Review, il Prof. Clayton M. Christensen presenta alcuni concetti densi e intensi.
Tutto l’articolo vale una lettura.
Mi soffermo su un passaggio, che mi sembra attinente con il mio mestiere di formatore, e sul quale mi sento particolarmente in sintonia.

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