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Caro HR, ti scrivo…

Questa cosa l’ho postata su LinkedIN qualche settimana fa.
Sembra che abbia suscitato un certo interesse.
Per questo, la riprendo qui, in una versione leggermente più lunga (che non c’è il limite di caratteri dei post a contenere la mia logorrea). Così, se qualcuno se la fosse persa…

Cara o caro HR manager, specialist, business partner, (insomma, quella o quello che “le persone al primo posto”),
ti scrivo, così entrambi ci distraiamo un po’…

E lo faccio per cercare di chiarire un concetto, sperando ti sia utile.
Quando mi chiami a fare formazione alle tue persone ti stai creando, con le tue mani, un bel problema.
Sì, perché la formazione (di questa cosa sono sicuro come di poche altre al mondo) non risolve nessuna delle questioni per cui di solito gli HRqualcosa chiamano quelli che fanno il mio mestiere. E questo è tanto più valido se si tratta delle cosiddette soft skills (l’ho già detto, vero, che questo termine mi provoca la comparsa di bolle bluastre sulla schiena?).
No, le tue persone non diventeranno più brave a gestire il loro team dopo un corso su come gestire i loro team. E nemmeno più efficienti nell’utilizzo del loro tempo. E, probabilmente (anche se qui la cosa è un po’ diversa) neppure diventeranno più brave a negoziare e a progettare presentazioni. Per dire le cose che, di solito, insegno io.
Anzi, c’è la non proprio remota possibilità che, uscite di lì, le persone, si sentano un po’ più frustrate di quando sono entrate.
E questo se tutto va bene.
Se, cioè, io ho fatto discretamente il mio mestiere.
Non ho, quindi, proposto ricette in 5 punti con cui da domani diventeranno il Cristiano Ronaldo (ah, no, ha sbagliato il rigore. Diciamo lo Jannik Sinner, che va più di moda, anche se non ha vinto a Wimbledon) della gestione del team, del tempo, della negoziazione, del … (mettici quello che vuoi tu).
E non ho propinato nessuna omelia su leadership risonante, gentile, visionaria, empatica e sailcielochecosaltro (ah, mi dici che dovevo propinargliela, che c’è scritto sul contratto?).
E non ho nemmeno spiegato quali sono le cinque, undici, ventisei caratteristiche del leader infallibile (che, quelle, non ce le ha tutte neanche Sinner).
No, ho fatto discretamente il mio mestiere: sono magari riuscito a fare crescere un minimo di consapevolezza delle dinamiche che, probabilmente, si sono trovate o si troveranno, le persone, a dover affrontare se hanno qualcuno che, dentro all’organigramma, sta proprio un gradino sotto di loro (si fanno ancora, vero, gli organigrammi?).
Ho dato un nome alle questioni, ho messo in campo alternative, ho condiviso un linguaggio.
Se è andata di lusso, potrei essere riuscito perfino a costruire con loro un sistema di conoscenze (un framework, come dicono quelli che parlano bene) dove collocare le singole questioni e comprendere in che relazione stanno con altre singole questioni.
Così poi tutto sembra almeno un pochino più chiaro o, almeno, meno confuso.

Ecco, anche se ci sono riuscito, probabilmente ti ho creato un problema.
Perché poi, quando le cose hanno un loro nome e tutto sembra un po’ meno confuso, le aspettative si alzano.
Perché la gente è strana: se tu le mostri quali sono le leve che possono darle una mano a gestire il suo team, il suo tempo, le sue negoziazioni, poi questa si aspetta di avercele a disposizione, quelle leve.
Che ci sia un sistema, un’organizzazione, che la supporta nel fare quelle cose lì.
Che chi sta un gradino sopra nell’organigramma quelle cose lì le faccia per primo.
Che le idee scendano dalle slide e diventino informazioni, processi, organizzazione.

Te l’ho detto: la gente è strana.
E questo è un bel problema, perché proprio quelli che tu pensavi che, “adesso che gli ho fatto fare il corso, busseranno un po’ di meno alla mia porta”, guarda caso, bussano di più.
E poi, cosa irritantissima, hanno un’idea piuttosto precisa di che cosa chiedere…

Condividerai con me che tutto questo è piuttosto seccante.
Ecco, te l’ho detta prima. Così lo sai.
Adesso, se vuoi, qui sotto trovi la mia mail.

Ti auguro una splendida giornata

Luca