Articoli

IL potere delle aspettative

Un classico esperimento di Mark Snyder, Elizabeth Decker Tanke e Ellen Bersheid, realizzato nel 1977, mostra come le aspettative altrui influenzino il nostro comportamento.
Lo studio ha infatti dimostrato che le persone normalmente sono molto abili nel leggere le aspettative altrui e molto rapide nel conformare il proprio comportamento a queste aspettative.
Naturalmente, questa prospettiva getta una luce ulteriore sul ruolo che le aspettative e le convinzioni giocano nel determinare comportamenti diversi in situazioni diverse. Continua a leggere

Finestre rotte a Groningen

La “teoria delle finestre rotte“, a quanto pare, ha trovato delle conferme in una ricerca condotta all’Università di Groningen e pubblicata su “Science” (il paper si intitola “Il contagio del disordine“).
I ricercatori hanno ideato una batteria di esperimenti volti a rilevare se e come il comportamento delle persone cambi a seconda dell’ambiente i cui si trovano.

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Bush e il linguaggio della politica

Semplificando molto, ci sono due prospettive da cui possiamo osservare i comportamenti e le decisioni: una prospettiva che potremmo definire “disposizionista” (da dispositionism), che punta l’attenzione sui fattori genetici, sull’indole (ragioni intrinseche) che determinano il comportamento, ed una prospettiva “situazionista” (da situationism), che invece punta l’attenzione sull’ambiente e le situazioni esterne che influenzano il modo di agire e di decidere.
Nel primo caso, quindi, le determinanti delle azioni sono interne alla persona, nel secondo caso esterne.

The situationist (il nome non lascia spazio ad ambiguità) è schierato dalla parte di coloro che ritengono i fattori ambientali e “situazionali” determinanti.
In questo articolo, analizza la comunicazione di George W. Bush.

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Le determinanti del comportamento

Proseguo la serie dei Basics con uno schema generale che inquadra i principali elementi in gioco quando si parla di comportamento.

Il comportamento è determinato dall’interazione tra le caratteristiche della persona e le variabili di carattere ambientale.

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Pigmalione ad uso dei manager

Il Professor Dov Eden, della Tel Aviv University, ha condotto alcune ricerche sul ruolo delle aspettative dei manager nel determinare la performance dei collaboratori.
I risultati sono interessanti:

    “Entra in azione una profezia che sia autoavvera.” dice Eden “I manager e i leader farebbero bene ad aspettarsi molto, e a fare in modo che le persone sappiano che loro si aspettano molto. Il messaggio dovrebbe essere genuino e coerente”.

In un esperimento, il prof. Eden ha diviso dei manager bancari in due gruppi. Ai manager di un gruppo ha detto che i loro collaboratori avevano delle grandi potenzialità, agli altri non è stato detto nulla. L’analisi delle performance e dei risultati hanno messo in evidenza delle notevoli differenze tra i due gruppi. I gruppi di collaboratori erano inizialmente omogenei, ma le aspettative dei manager hanno agito da propellente per le prestazioni del primo gruppo, portandolo ad ottenere risultati significativamente migliori rispetto al secondo gruppo.

Si tratta, evidentemente, di un “Effetto Pigmalione“, già descritto in questi due post:
Pigmalione
Ancora su Rosenthal e l’effetto Pigmalione

La ricetta di Eden suona così:

    Aspettati di più dalle persone. Otterrai di più. Costruisci aspettative alte e rinforzale con messaggi positivi ai collaboratori, anche se questo ti richiedesse di diventare un buon attore. […]

    I collaboratori otterranno un’accelerazione da 1 a 3 nel loro tasso di successo nella performance se il leader si aspetta di più da loro. Il successo è determinato da un certo numero di fattori rilevanti, come per esempio completare un corso, un indicatore di performance sul lavoro, o il voto in un programma formativo.
    Se un leader ha delle aspettative tre volte più alte circa un collaboratore, questo non significa che il collaboratore performerà tre volte di più, ma che avrà tre volte più probabilità di performare al di sopra della media.

Mi affascina sempre constatare come le nostre convinzioni e le nostre aspettative, oltre a fungere da filtri sulla realtà, spesso sono capaci di cambiare la realtà stessa.

Ancora su Rosenthal e l’Effetto Pigmalione

Il post sull’Effetto Pigmalione è da tempo uno dei più letti del blog. E mi capita di parlarne spesso anche durante i miei interventi formativi. C’è una distinzione che non è facile far comprendere e che è determinante per capire in pieno l’importanza degli esperimenti di Rosenthal: l’Effetto Pigmalione non riguarda solamente quanto le nostre convinzioni fungono da filtro nella nostra percezione della realtà, ma anche quanto le nostre convinzioni influenzano la realtà stessa.
Le insegnanti dell’esperimento, infatti, non soltanto avevano adattato il loro giudizio sui bambini in base alle loro convinzioni (istillate da Rosenthal stesso), ma avevano effettivamente influito fortemente sulle capacità espresse dai bambini stessi: ad un anno di distanza gli alunni che Rosenthal aveva indicato come i più dotati si erano effettivamente dimostrati i migliori della classe.
E non si trattava soltanto di un giudizio dato dalle insegnanti, i ragazzini in questione erano davvero migliorati in modo sorprendente.

Confirmation Bias

In questo post ho parlato di come spesso tendiamo a piegare la realtà alla teoria, piuttosto che il contrario.

Il Confirmation Bias è una delle strategie che utilizziamo: si tratta della tendenza a ricercare informazioni che provano, piuttosto che informazioni che confutano, la nostra teoria iniziale.

Peter Cathcart Wason fece un esperimento: mostrò a degli individui la tripletta di numeri 2 – 4 – 6, dicendo loro che questa tripletta era conforme ad una regola particolare. Il compito dei soggetti era quello di individuare quale fosse la regola. Per farlo potenvano generare altre triplette, e chiedere allo sperimentatore se soddisfacevano la regola o meno. Lo sperimentatore dava un feedback (regola soddisfatta o regola non soddisfatta) corretto.

Una volta che fossero stati sicuri di aver individuato la regola, i soggetti dovevano enunciarla.

Nonostante il fatto che la regola fosse semplicemente “qualsiasi sequenza ascendente”, i soggetti sembravano trovare grandi difficoltà nell’individuarla, enunciando spesso regole molto più complesse. La cosa più interessante è che i soggetti sembravano testare soltanto esempi “positivi”, che confermavano le loro ipotesi. Quello che non facevano era, invece, tentare di falsificare le proprie ipotesi testando triplette che non fossero conformi alla propria regola.

Il confirmation bias è una teoria utilizzata per comprendere perché le persone spesso credano e sostengano idee pseudoscientifiche.

Post (per qualche motivo) correlati:
Pigmalione
Leggenda metropolitana
L’hindsight bias
Teorie forti

Catania

I miei due cents su quanto accaduto a Catania in questi giorni.
Qualche settimana fa ho scritto un post che parlava della “Teoria delle finestre rotte”.
Quello che si è visto mi pare un esempio di quanto il potere del contesto possa incidere sui comportamenti criminali.
In un’intervista a Serena Dandini per “Parla con Me”, Gianrico Carofiglio, circa la situazione di Napoli ha detto:

“Proprio perché si tratta di una situazione di emergenza permanente, è necessario individuare una serie di strategie. La prima di queste strategie è far percepire ai cittadini comuni e a coloro che abitualmente commettono reati che le cose stanno cambiando nel senso dell’inizio del rispetto delle regole. Ciò che produce il grande crimine è la percezione, anche da parte dei cittadini comuni, dell’inesistenza delle regole o del fatto che le regole, anche se esistono, non vengono rispettate. […]

A New York, nei primi anni ’90, nel ’92 in particolare, venne registrato il più alto tasso di crimini nella storia della città: crimini violenti, omicidi e reati comuni. Quattro anni dopo le stesse statistiche registravano la riduzione degli omicidi a un terzo, da 2400 omicidi a 800 in un anno, e la riduzione dei reati violenti a meno della metà. Si chiesero, gli studiosi di questi temi, che cosa fosse successo. […] Era successo che un signore di nome Bratton, che era un criminologo, fautore della cosiddetta “Teoria delle finestre rotte”, era diventato prima capo della polizia della metropolitana e poi capo della polizia di superficie. La “Teoria delle finestre rotte” è una teoria elaborata negli anni ’80 da alcuni criminologi che sostanzialmente parte dall’affermazione che il grande crimine è il frutto del disordine sociale. Il riferimeno alle finestre rotte è una sorta di metafora. Dicevano costoro nel loro libro che se in una strada a un certo punto una finestra viene rotta, i cittadini passano, la finestra non viene riparata, e i cittadini percepiscono l’assenza di regole (se esistono le regole). Ne viene quindi rotta un’altra e poi un’altra e a questa violazione minima seguono violazioni più gravi e la percezione in generale dell’inesistenza di regole, il che produce violazioni sempre più gravi.
In concreto, cosa fece questo signore? […]
In una situazione in cui nella metropolitana di New York venivano commessi stupri, rapine, aggressioni, lui prese tutti i suoi uomini e li mise a controllare l’abusivismo (quelli che non pagavano il biglietto), e fu aggredito selvaggiamente. […] Lui tenne duro e dopo due anni di questa terapia era cessato l’abusivismo (e questo può apparire banale). Il problema è che si erano ridotti quasi a zero i reati gravi.
E allora questo cominciò a far riflettere sul fatto che forse questa faccenda funzionava… innescava un circolo virtuoso. Lui fu promosso a capo della polizia di superificie, applicò lo stesso metodo e iniziò una repressione (intelligente, io credo) dei reati minori, della irregolarità quotidiana. Questo produsse quel calo statistico enorme. […]
Comunicare con comportamenti pratici il fatto che le regole esistono, che le macchine non si parcheggiano in doppia fila, che il biglietto del tram si paga, che la spazzatura non si butta per le strade e via discorrendo, produce non solo la rimozione di questi comportamenti devianti minori, ma la creazione di un humus che consente l’aggressione e la sconfitta del crimine di dimensioni più grandi.

Tra le strategie che precedettero l’azione di Bratton ci fu anche quella di eliminare completamente i graffiti dalle vetture e dalle pareti della metropolitana. E ogni volta che qualcuno dipingeva una vettura, questa veniva ritirata e ripristinata. Ogni volta. Senza eccezioni. I graffittari dovevano sapere che il loro lavoro sarebbe stato inesorabilmente e irrimediabilmente inutile. La vettura sarebbe stata ripristinata.

Avete visto, nei servizi di questi giorni, lo stato dei muri attorno allo stadio di Catania?

Pigmalione

Questo post sul blog di Alfonso Fuggetta mi ha ricordato l’importanza di quello che gli psicologi chiamano “Effetto Pigmalione“.

Questa locuzione fu introdotta in ambito psicologico da Robert Rosenthal.

Pigmalione, re di Cipro e leggendario scultore, realizzò una statua di donna talmente bella che se ne innamorò. Chiese quindi a Venere di concedergli una sposa altrettanto bella e la dea esaudì la sua richiesta animando la statua stessa.

Tornando a Rosenthal, egli sottopose ad un test di intelligenza gli alunni di una scuola elementare della California. Quindi, prese un campione casuale tra questi bambini e disse alle loro insegnanti che si trattava di bambini che, secondo il test, erano risultati particolarmente dotati.

Ad un anno di distanza quegli alunni si erano effettivamente dimostrati i migliori della classe.
E non si trattava soltanto di un giudizio dato dalle insegnanti, i ragazzini in questione erano migliorati in modo sorprendente.

La spiegazione di quello che Rosenthal ha chiamato, appunto, effetto Pigmalione, è che le nostre aspettative possono influenzare in maniera radicale le nostre relazioni e le performance che possiamo ottenere dagli altri. Le insegnanti, credendo nell’alto potenziale di quei bambini, si comportarono con loro in modo diverso rispetto a quanto avrebbero fatto normalmente (più incoraggiamento, più stimoli…). E i bambini reagirono di conseguenza, ottenendo risultati migliori.
Il comportamento delle maestre aveva consentito ai bambini di mettere in campo il meglio delle loro capacità.

L’effetto Pigmalione influenza i rapporti umani, di qualunque natura essi siano, e purtroppo non sempre in maniera positiva.

E’ quella che Watzlawick chiamerebbe una “profezia che si autorealizza”.

Questo può spiegare anche perché alcune persone sembrano particolarmente sfortunate nei rapporti con gli altri: incontrano colleghi ipocriti, amici inaffidabili, partner egoisti, eccetera eccetera.

In realtà, vengono trattati come si aspettano di esserlo.
Chi si aspetta di essere tradito, mette in campo una serie di strategie che portano la dinamica relazionale proprio nella direzione che si vorrebbe evitare. In questo senso, la “profezia” del tradimento si “autorealizza”.

Per approfondire: