Articoli

Come comunicare aspettative e obiettivi

Su Forbes.com, Sangeeth Varghese sta pubblicando una serie di articoli sul team management.
Nel primo ha spiegato come, attraverso il meccanismo della profezia che si autorealizza, comunicare obiettivi ed aspettative sfidanti possa condurre le persone a raggiungere gli obiettivi stessi.
Ho parlato anch’io di questo effetto qui.
Nel secondo articolo della serie, pubblicato in questi giorni, si è concentrato su come comunicare questo tipo di obiettivi e di aspettative.

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Superwoman Syndrome

Dena Patton chiama Superwoman Syndrome (rivolgendosi soprattutto alle donne) il fallimento nel gestire le proprie capacità e i propri limiti, rinunciando così ad uno stile di vita salutare e soddisfacente. E le conseguenze di questa rinuncia non sono da poco, sia sul piano fisico che su quello mentale e spirituale.

In questo articolo su Entrepreneur.com condivide la sua esperienza di business coach, con alcune indicazioni per ristabilire quei salutari confini che permettono di rivestire il propri ruoli con maggiore serenità e con il recupero di un salutare equilibrio.

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Pit-stop

Su Harvar Business Review Italia dello scorso Aprile , un articolo di Heike Bruch e Jochen I. Menges (con anche un bel commento di Roberto Quaglia), illustra come il richiedere ai propri collaboratori il massimo impegno per periodi prolungati possa impattare in maniera molto negativa sulla performance aziendale, e come molte aziende si prendano dei veri e propri pit-stop, momenti nei quali rallentare il ritmo è non soltanto consentito, ma auspicato.
Durante alcuni corsi recenti ho riflettuto a lungo sul fatto che lo stress derivi proprio dalla sensazione di essere intrappolati in una specie di gabbia dei criceti, in cui non esistono momenti di rallentamento e pausa. Continua a leggere

Worklife balance: la felicità sta dentro di noi

Marshall e Kelly Goldsmith, su Businessweek, rendono conto di una loro ricerca sulla soddisfazione, sia nel breve termine (la felicità) che nel lungo termine (il senso) e sull’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (worklife balance).

I risultati della ricerca sono così sintetizzati dai due autori:

Ciò che abbiamo scoperto è per molti aspetti inatteso ma molto chiaro. C’è una correlazione molto chiara tra la felicità e il senso al lavoro ed a casa. In altri termini, coloro che provano felicità e senso in ambito professionale tendono a provarli anche al di fuori del lavoro. Coloro che si sentono infelici sul lavoro sono solitamente infelici a casa.

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24/7: il mito della produttività

Sul numero di novembre di HBR Italia un articolo decisamente provocatorio: in alcuni tratti sembra parli di un mondo da favola distante anni luce dall’esperienza quotidiana di molte aziende e organizzazioni.
Il titolo già dice molto: “Il tempo libero programmato migliora la qualità del lavoro“.
E il titolo originale è anche più esplicito: “Making time off predictable – and required”.
L’articolo riferisce di una sperimentazione effettuata da Leslie A. Perlow e Jessica L. Porter in diversi uffici americani di Boston Consulting Group.
Si è trattato letteralmente di “costringere” i consulenti di BCG a prendersi dei periodi di tempo programmati per staccare la spina, in aggiunta ai normali ritmi lavoro-tempo libero. Le pause venivano programmate all’inizio di un progetto e l’impegno consisteva nel rispettare questi periodi (che in alcuni progetti erano addirittura di un giorno a settimana) chiudendo i contatti con l’ufficio (comprese email e caselle vocali).

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Worklife Balance

L’ultimo libro di Sebastiano ZanolliIo, società a responsabilità illimitata” è ricco di spunti e provocazioni davvero interessanti (non che mi aspettassi qualcosa di diverso…)
Ne colgo una, perché ha a che vedere con un tema su cui sto riflettendo in questi giorni:

    Tenete presente che sempre di più il tentativo di ottenere un “worklife balance“, il bilanciamento tra vita professionale e personale, separando chiaramente le due aree, come parlassimo di massa grassa e massa magra, è una chimera.
    È l’idea di un tempo andato, in cui o si era a casa o si era nei campi con i buoi.
    Ora si è sempre ovunque in qualsiasi momento.
    Si è tutto in tutti i momenti.
    Pensare di tagliare in due o più la vita non funziona.
    È la centratura personale da cercare, il centro di gravità permanente dell’io, non impossibili frullati esistenziali con un terzo di… un terzo di… un terzo di…
    Capacità di essere uno sempre, non molti a volte.

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Tempo e relazioni

Su Vox, un interessante articolo circa le abitudini sociali.
Le persone, vi si sostiene, hanno meno amici e li visitano meno spesso che in passato.
Ad una prima analisi, molti potrebbero sostenere che il motivo risiede nel fatto che passiamo più tempo in attività lavorative, e che questo tempo viene sottratto alle amicizie.
In realtà, recenti ricerche hanno mostrato che non esiste una correlazione tra tempo passato al lavoro e tempo passato nelle relazioni sociali. Il vero momento di scelta pare essere legato alle modalità con cui si svolge l’interazione sociale.
In particolare, al crescere dell’età e del grado di istruzione, cresce la partecipazione ad attività che implicano un impegno (associazioni, gruppi culturali, eccetera), mentre decresce il numero di visite fatte ad amici e parenti.
Una possibile spiegazione, data dagli autori, è che la maggiore istruzione porti una maggiore attenzione verso la “produttività” del tempo. Anche del tempo libero.
In questo senso, l’istruzione rende più attraente un’attività che implica partecipazione diretta ed impegno rispetto alla visita ad un amico.

Detta così, pare che l’istruzione porti le persone, anche nel tempo libero, ad essere più “orientate al compito” piuttosto che “orientate alla relazione”. Non mi pare una conclusione da prendere alla leggera. Che ne pensate?