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Pianificazione e zen

Le mie letture di questi giorni(1) mi hanno riportato ad un libro che mi aveva colpito molti anni fa, e che poi avevo pressoché dimenticato: Lo zen e il tiro con l’arco, di Eugen Herrigel.
Si tratta del resoconto di come un occidentale possa avvicinarsi allo Zen.
Herrigel, professore di filosofia, vuole essere introdotto allo Zen e gli viene consigliato di imparare una delle arti in cui lo Zen da secoli si applica: il tiro con l’arco.

Il percorso dell’autore (a memoria, rileggerò il libro nei prossimi giorni) lo conduce a comprendere (sarebbe meglio dire a praticare) come è proprio la sua volontà di centrare il bersaglio con la freccia il più grande ostacolo al raggiungimento dell’eccellenza nell’arte del tiro con l’arco.
Nell’approccio zen, “la vera arte è senza scopo e senza intenzione”.

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Tanzan e Ekido

Presente su vari siti e su alcuni libri (questa versione la trovate qui), questa storia zen mi pare un bell’auspicio per tutti gli avventori di questo blog.

    Tanzan, un vecchio monaco, e il suo studente, Ekido, percorrevano insieme una strada fangosa. Lungo il cammino si travarono di fronte un ruscello, e videro in piedi sulla riva, esitante, una bellissima giovane giapponese, che indossava kimono e fusciacca.
    Tanzan disse alla giovane: “
    Vieni, lascia che ti aiuti ad attraversare” e, senza aggiungere altro, la sollevò, se la caricò sulle spalle e la portò dall’altra parte del ruscello. Quando raggiunse la riva, depose la goivane con molta delicatezza. Lei lo ringraziò e il vecchio riprese il cammino.
    Ekido, lo studente, si infuriò per il comportamento scandaloso del suo cosiddetto maestro, e riuscì a ritrovare la parola solo molto più tardi, a sera.
    Quando proprio non ce la fece più, sbottò: “
    Tanzan, sai bene che a noi monaci è vietato toccare le donne. Ma cosa ti è venuto in mente? Insomma, caricarti quella ragazza sulle spalle e portarla sull’altra riva del fiume!
    Tanzan sorrise del pudore offeso del suo studente e disse con calma: “
    Io ho posato la ragazza sull’altra riva del fiume. E tu perché te la porti ancora dietro?

Buon Natale a tutti!

Ci si inchina solo alle domande

Ho iniziato la lettura del libro di Umberto Santucci "Fai luce sulla chiave. Problem setting: l’arte di definire i problemi prima di risolverli".
La prefazione, di Dario Simoncini e Mariella De Simone, inizia con una storia tratta da C’è nessuno? di Jostein Gaardner.
Eccola:

«Puoi mangiare una mela» dissi porgendogli il frutto.
Sembrava che non ne avesse mai viste in vita sua: per un po’ rimase incantato ad annusarla, poi si fece coraggio e le diede un morsettino.
«Gnam, gnam» disse con la bocca piena.
«È buona?» domandai.
Lui fece un profondo inchino.
Volevo sapere che gusto avesse una mela quando la si assaggiava per la prima volta, e insistei:
«Ti è piaciuta?»
Mika si inchinò a ripetizione. «Perché fai l’inchino?» domandai. Si inchinò di nuovo. Sbigottito da quel profluvio di cortesia, gli chiesi ancora una volta:
«Perché fai l’inchino?»
Ora fu lui a rimanere sbalordito. Credo non sapesse se doveva fare un altro inchino oppure limitarsi a rispondere.
«Nel posto da cui vengo ci inchiniamo sempre quando qualcuno fa una domanda acuta» spiegò. «E più profonda è la domanda, più profondo è l’inchino».
Non avevo mai sentito una cosa tanto strana: non riuscivo a capacitarmi che una domanda potesse meritare un inchino.
«E allora quando dovete salutarvi cosa fate?»
«Cerchiamo di escogitare qualcosa di intelligente da domandare» rispose.
«E perché?»
Fece un rapido inchino dato che gli avevo rivolto un’altra domanda, poi spiegò:
«Cerchiamo di pensare qualcosa di intelligente da domandare in modo da far inchinare l’altro».
Fui talmente colpito da quella risposta che, quasi senza volerlo, mi inchinai profondamente. Quando alzai lo sguardo, Mika si era infilato il pollice in bocca. Se lo tolse solo dopo un bel po’.
«Perché hai fatto l’inchino?» mi chiese allora quasi offeso.
«Perché hai risposto in modo molto intelligente alla mia domanda» spiegai.
Allora Mika con voce limpida e chiara scandì alcune parole che non ho mai più dimenticato:
«Una risposta non merita mai un inchino: per quanto intelligente e giusta ci possa sembrare, non dobbiamo mai inchinarci a una risposta».
Annuii con un cenno della testa, pentendomi immediatamente perché Mika poteva pensare che mi ero inchinato alla sua risposta.
«Chi si inchina si piega» continuò Mika. «Non devi mai piegarti davanti a una risposta».
«E perché no?»
«Una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre».

Devo ricordarmi, mentre progetto il prossimo percorso formativo, di cercare qualcosa di intelligente da domandare, piuttosto che qualche risposta intelligente da dare.
E, magari, cercherò anche di ricordare che questo blog dovrebbe essere un luogo di domande più che di risposte.
Per puntare oltre il tratto di strada che mi sono lasciato alle spalle.

Ci sono domande?