Hackman sul teamwork
Sul numero di luglio-agosto di HBR Italia Diane Coutu intervista il Prof. J. Richard Harckman circa le condizioni di efficacia dei team.
Hackman ha una visione controcorrente del lavoro in team, o, per lo meno, non accetta a priori l’idea secondo cui lavorare in team renda tutti più produttivi, più creativi e, in definitiva, anche più soddisfatti. Al contrario: spesso i team producono risultati assolutamente non all’altezza delle aspettative.
Quali sono, allora, le condizioni per fare in modo che un team esprima il suo potenziale?
E quali gli errori e le false credenze da evitare?
Ecco, in ordine sparso, alcuni spunti che fornisce l’intervista.
- È assolutamente necessario delimitare i team, in modo che tutti sappiano chi ne fa parte e chi no.
Può sembrare un’indicazione banale, ma nella maggior parte dei casi questa condizione non si realizza. - Le persone che non hanno la vocazione al lavoro di squadra vanno, semplicemente, escluse dai team.
- Non è vero che i team che lavorano in armonia sono i più produttivi.
Si confondono causa ed effetto: è l’efficienza ed il raggiungimento dei risultati che crea un clima positivo, e non viceversa. - Non è vero che team allargati siano migliori di quelli ristretti.
La regola empirica è di costituire team che non arrivino a 10 persone. - Le novità sono fonte di problemi per i team.
Il problema non è che un team invecchi, ma che non abbia la possibilità di consolidarsi. - I team hanno bisogno di un “deviante”, di una figura che contrasti la tendenza a volere troppa omogeneità (che limita creatività e apprendimento).
- Perfino il miglior leader non è in grado di far funzionare bene un team.
Tutto quello che può fare è lavorare per aumentare le probabilità di successo.
Ma è il gruppo stesso a determinare il proprio futuro. - I primi minuti in cui si instaura un sistema sociale sono i più importanti: decidono che direzione prenderà il gruppo e che tipo di relazione si instaurerà tra team leader e squadra.
- I team leader sono come jazzisti: improvvisano.
- Nelle organizzazioni, l’attenzione alla dimensione individuale del collaboratore è una delle ragioni principali per cui i team non funzionano bene quanto potrebbero.
La conclusione a cui conducono queste affermazioni:
La difficoltà, per un leader, consiste nel trovare un equilibrio fra autonomia individuale e azione comune. Ciascuno dei due estremi è sbagliato, però in genere conosciamo meglio gli effetti collaterali che l’individualismo può produrre in un contesto organizzativo e tendiamo a dimenticare che i team, con la loro pervasività e capacità di controllo, possono essere altrettanto distruttivi e far sì che le opinioni, i contributi e il sapere dei singoli vadano perduti.
Food for thought, insomma.
Commenti?
la questione si può riassumere che le persone debbono essere assertive e non avere complessi di superiorità o inferiorità.
PS: mia figlia è stata promossa alla maturità scientifica dove si è presentata come privatista
@silvia
Grazie per il tuo commento, e complimenti a tua figlia!
Grazie Luca, punti interessanti da tenere in considerazione in ambito Team Building. Credo che una delle chiavi sia di motivare il Team a ricercare il sistema più idoneo ed efficace da adottare affinchè ogni componente sia continuamente stimolato a lavorare per una crescita comune.
Finalmente trovo conferma nelle parole di un eminente studioso di quanto avevo sperimentato sul campo. Il lavoro di gruppo può aiutare ciascun componente a crescere solo se ognuno di loro ha la possibilità di lavorare in autonomia su un progetto o problema da risolvere. Solo successivamente, confrontando i risultati o soluzioni ottenuti autonomamente da ciascun componente del gruppo di lavoro, si potrà arrivare alla scelta definitiva che potrà essere un idrido-risolutivo.
Grazie silvy per la tua considerazione. Il team management, ancora una volta, si dimostra arte non da tutti
Leggo ora questo interessante articolo che condivido al 100%. Ho anch’io sperimentato su campo quanto sia difficile creare team con persone che siano veramente inclini al lavoro di gruppo. Il fattore scarso è lavorare per un obiettivo comune sovraordinato rispetto agli obiettivi funzionali della struttura alla quale si appartiene. In sostanza se non si seguono le regole citate nell’articolo la probabilità di avere un risultato sub ottimale è altissima. Il prof Hackman sarà contro corrente ma segue la direzione giusta