A confronto con i modelli
In un discorso tenuto ai laureandi della Harvard Business School e riportato su Harvard Business Review, il Prof. Clayton M. Christensen presenta alcuni concetti densi e intensi.
Tutto l’articolo vale una lettura.
Mi soffermo su un passaggio, che mi sembra attinente con il mio mestiere di formatore, e sul quale mi sento particolarmente in sintonia.
Ecco che cosa scrive Christensen:
Quando qualcuno mi chiede cosa dovrebbe fare, raramente rispondo in modo diretto.
Faccio invece passare la domanda attraverso uno dei miei modelli, descrivo come il processo del modello ha funzionato in un settore del tutto diverso. E alla fine quasi sempre chi ha posto la domanda dice: «OK, ho capito». E dà una risposta alla sua stessa domanda molto più profonda di quanto avrei potuto fare io.Il mio corso in HBS è strutturato in modo da aiutare i miei studenti a capire che cosa è una buona teoria di management e come è costruita. Attacco a quella struttura fondamentale differenti modelli o teorie che aiutano gli studenti a pensare secondo le diverse dimensioni in cui si articola il lavoro di un general manager nello stimolare innovazione e crescita. In ciascuna sessione guardiamo all’azienda attraverso la lente di una certa teoria, e la utilizziamo per spiegare in che modo l’azienda si è messa in quella situazione ed esaminiamo quali azioni manageriali potrebbero portare al risultato richiesto.
Ecco, se dovessi riassumere quello che intendo io come “formazione”, credo sarebbe qualcosa di molto simile a quanto ci trasmette Christiansen in queste righe.
Mi succede spesso di rispondere alle domande confrontando la richiesta con un modello, e poi lasciando spazio alle riflessioni di chi mi ha posto la domanda.
Certo, l’operazione non banale è quella di trovare un modello davvero attinente ed esplicativo.
Alla fine, molti rilanciano: “Risposta esatta?”
Al che io, di solito rispondo: “Non lo so, ma mi è piaciuto il ragionamento“, per dire che forse il compito della formazione non è quello di generare risposte, ma ragionamenti.
Personalmente dico spesso che una buona attività formativa non dovrebbe generare risposte, ma buone domande. E le buone domande dovrebbero generare ragionamenti per cercare la risposta.
Il processo però è difficile: una buona domanda porta “fuori dalla zona di comfort”, genera fastidio e frustrazione e la buona formazione diventa “scomoda”. Nella mia personalissima esperienza spesso le persone sono state abituate a risposte immediate, non hanno motivazione per gestire fastidio e frustrazione, non hanno la motivazione necessaria all’apprendimento. Naturalmente la mia è una generalizzazione che nasce da esperienze personali, non è una verità assoluta.