Ancora sul contesto
Grazie a questa (bella) segnalazione di Giulietta, ho trovato un’interessante intervista a Philip Zimbardo, in cui si ritorna su uno degli argomenti che anima molti dei miei post (e delle mie lezioni): il potere del contesto.
Ecco l’introduzione all’intervista:
Non puoi essere un melone dolce dentro una botte d’aceto
“Quando metti insieme questo set di orrende condizioni di lavoro e di fattori esterni, questo crea una botte cattiva”, scrive l’eminente psicologo situazionista Philip Zimbardo, conosciuto per il suo famoso esperimento della Prigione di Stanford dell’inizio degli anni ’70.
“Potresti mettere virtualmente chiunque in quella situazione ed ottenere questo tipo di comportamento diabolico”, continua. “Il Pentagono e i militari sostengono che lo scandalo di Abu Ghraib è il risultato di poche mele marce in un cesto buono. Questa è l’analisi disposizionista. Lo psicologo sociale che è in me, e il parere concorde di molti miei colleghi psicologhi sociali sperimentali, dice che quest’analisi è sbagliata. Non sono le mele marce, è il cesto cattivo che corrompe le brave persone. La comprensione degli abusi nella prigione irachena inizia con l’analisi delle forze situazionali e sistemiche che hanno operato in quei soldati che facevano il turno di notte in quella piccola bottega degli orrori“.
Circa 30 anni fa, Zimbardo e i suoi colleghi iniziarono a fare ricerca sulla de-umanizzazione. “Quali sono i meccanismi per cui cui, invece di cambiare te stesso e diventare l’aggressore, diventa più facile essere ostile contro altre persone cambiando la tua concezione psicologica degli altri?” si domanda. “Pensi a loro come ad animali senza valore. Questo è il potere devastante degli stereotipi”.
Zimbardo collega questo lavoro con quello da lui effettuato durante l’esperimento della Prigione di Stanford. “La domanda era: cosa succede quando metti le persone in un posto infernale? Abbiamo messo dei bravi, normali studenti di college in un ambiente molto realisticamente somigliante ad una prigione, nel seminterrato del dipartimento di Psicologia a Stanford. Abbiamo disumanizzato i prigionieri, assegnando loro dei numeri e privandoli della loro identità. Abbiamo anche de-individualizzato le guardie, chiamandoli Signor Guardia Carceraria, mettendogli addosso un’uniforme khaki, e dando loro degli occhiali da sole riflettenti color argento come nel film Nick mano fredda. Essenzialmente, abbiamo trasferito l’anomimato del Signore delle mosche dentro ad un set in cui noi potevamo osservare esattamente che cosa accadeva momento per momento”.
Zimbardo ha rilevato come l’esperimento è “davvero uno studio della competizione tra il potere delle istituzioni contro la volontà dell’individuo di resistere. Completa il quadro lo studio di Stanley Milgram, che era mio compagno di scuola alla James Monroe High School nel Bronx. (Di nuovo, è interessante notare come siamo due situazionisti che vengono dallo stesso quartiere). Il suo studio ha investigato il potere di un’autorità individuale: alcune persone in camice bianco ti dicono di continuare a dare una scossa ad un’altra persona anche se questa sta urlando e si sta lamentando. Questo è un modo per creare il male come cieca obbedienza all’autorità. Ma, più spesso, non serve qualcuno che ti dica di fare qualcosa. Sei semplicemente in un contesto nel quale ti guardi intorno, e tutti lo stanno facendo. Immagina di essere una guardia e di non voler fare del male ad un prigioniero – perché in qualche modo sai che si tratta soltanto di studenti di college – ma le altre due guardie del tuo turno stanno facendo cose terribili. Essi ti forniscono modelli sociali da seguire, se fai parte della squadra”.
Il resto dell’intervista è qui
Anch’io ho analizzato questa tematica in due post successivi. Effetto lucifero e l’effetto solidarietà. I commenti sono stati molto belli.http://silviaearth.blog.kataweb.it/silvia_earth/2007/06/13/effetto-lucifero/#comments
Grazie per la segnalazione!