I “Sì” che preoccupano i leader

In questa intervista (a dire il vero non recentissima) Michael Roberto, docente alla Harvard Business School, spiega perché un leader dovrebbe iniziare a preoccuparsi quando, nel suo gruppo o nella sua organizzazione, inizia a sentire troppo spesso la parola ““.
La mancanza di un conflitto sano e costruttivo in un’organizzazione, infatti, rende estremamente difficile valutare accuratamente le idee e assumere decisioni importanti. I leader, in questo senso, devono capire che esprimere dissenso può essere molto difficile per un middle-manager o un dipendente. Quindi, non devono aspettare che il dissenso nasca spontaneamente, devono attivamente andare a cercarlo all’interno dell’organizzazione, e fare passi concreti per favorire il conflitto costruttivo nei loro processi di decision making.
Altrimenti rischiano di trovarsi in quelle che Roberto definisce

  • Culture del no: sono quelle situazioni in cui chi ha potere di veto semplicemente arresta il processo creativo e decisionale, senza bisogno di dover giustificare il proprio veto
  • Culture del sì: sono quelle in cui il conflitto non si esplicita, ma resta latente e porta alla non applicazione e al sabotaggio delle decisioni apparentemente condivise
  • Culture del forse: sono quelle in cui le aziende sono fortemente orientate all’analisi, e magari in forte disagio nelle situazioni di ambiguità. Il bisogno di certezza in un mondo incerto porta all’indecisione, e a non valutare correttamente il costo di cercare nuove informazioni più complete.
  • Dice Roberto:

    Rendere il conflitto costruttivo aiuta a costruire impegno sulle decisioni prese, e quindi facilita la loro realizzazione. Ma, per costruire consenso, i leader hanno anche bisogno di progettare un processo leale e giusto. Durante un processo decisionale, alcuni individui vedranno le loro idee accettate dal gruppo, mentre altre proposte otterranno un basso grado di supporto. Guidare un processo leale non significa cercare di soddifare tutti in termini di decisioni assunte. Piuttosto, significa creare un processo nel quale il leader ha dimostrato un’autentica considerazione dei punti di vista altrui. Affinchè percepiscano un processo come trasparente, le persone devono:

    • Avere ampie opportunità per esprimere il loro punto di vista e per discutere come e perché sono in disaccordo con altri membri del gruppo
    • Percepire che il processo decisionale è stato trasparente, il che significa che le decisioni sono state prese relativamente senza segreti e manovre dietro le quinte
    • Credere che il leader li ha ascoltati con attenzione e che ha considerato il loro punto di vista seriamente e attentamente prima di prendere una decisione
    • Percepire di aver avuto una vera opportunità di influenzare la decisione finale del leader
    • Comprendere chiaramente i fondamenti logici della decisione finale

In tutto questo, naturalmente, la comunicazione svolge un ruolo essenziale. È quello che, con gli allievi dei miei corsi, chiamo “spingere sul pedale della partecipazione” piuttosto che su quello dell’efficienza. Nel momento in cui si indice una riunione, per esempio, la comunicazione è un mezzo potente per favorire o sfavorire la partecipazione e, di conseguenza, il conflitto sano e costruttivo.

4 commenti
  1. silvia dice:

    Queste teorie le ho già sentite numerose volte, ma non le applica mai nessuno. io la mia teoria l’ho esplicitata. i capi sono troppo narcisisti, ovvero sotto sotto insicuri, quindi mal volentieri vogliono mettersi in discussione. forse bramano tanto per il successo proprio perchè così gli altri debbono dirgli per forza di si. come si spiegherebbe altrimenti che personaggi come Falcone e Borsellino o Tommaso d’Aquino e altri siano diventati eroi solo a posteriori ? i leader spesso si nutrono del successo.

  2. Domenico dice:

    Ciò che è successo a me è veramente singolare. Ho seguito inconsapevolmente i passi indicati da Roberto Michael nel coinvolgere le persone che lavorano con me come subordinati. Sapete cosa è successo? che dopo un pò di tempo nel reparto da me gestito giravano voci che il loro capo non è un grande esperto e che le decisioni importanti erano state prese dal reparto. In qualche modo è successo che si è sviluppata una dinamica di ‘screditamento’ del leader, soprattutto all’arrivo di nuovi attori sulla scena.
    ciao

  3. Luca dice:

    @ Silvia
    Sono d’accordo che la base di un esercizio efficace della leadership sia il non essere vittima delle proprie insicurezze (il che non significa non averne…). Meno d’accordo, invece, sulla generalizzazione. Nella mia esperienza, ho conosciuto numerosi capi che si mettono in discussione, si formano, si mettono in gioco…
    @ Domenico
    Interessante. Credo che qualunque “ricetta” sulla leadership debba tenere conto del ciclo di vita del gruppo. Le leve della partecipazione o dell’efficienza devono essere calibrate sulla base della fase di vita del gruppo e sulla capacità / disponibilità delle persone ad assumere responsabilità.
    Accade in alcune fasi, infatti, che un leader che tende a coinvolgere le persone venga percepito come una persona primariamente interessata a vivere in armonia con gli altri e ad essere considerata “una brava persona”, restia a rischiare di
    rompere i rapporti per eseguire un compito, oppure come un leader non impegnato, passivo, a cui importa poco del compito da eseguire, non competente.
    Se, invece, il gruppo è sufficientemente maturo, il leader viene percepito come persona che permette appropriatamente ai subordinati di decidere in che modo debba essere eseguito un compito e che svolge solo un ruolo secondario nella loro interazione sociale.

  4. Giulia Cerrone dice:

    l’argomento, anche nella discussione che ha aperto, secondo me tocca il nocciolo del concetto di leadership. Accettare il dissenso, lasciare che possa essere liberamente espresso, valorizzare le opinioni che prospettano problemi e soluzioni con un’ottica divergente, richiedono che il leader sia percepito dal gruppo come riferimento importante. Occorre che la sua leadership poggi su una fondamentale sicurezza, forza interiore e che questa forza sia ovviamente espressa nelle relazioni e percepita dal gruppo. Il che ovviamente non significa non avere dubbi, non sbagliare mai,ecc. C’entra la maturità del gruppo, ma anche quella del leader secondo me. Grazie a Luca per queste riflessioni sempre interessanti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.