Il feedback nel processo formativo
Un articolo su HBR Italia di marzo intitolato “Potenziate il ciclo continuo di feedback dei clienti” (scritto da Rob Markey, Fred Reichheld, Andreas Dullweber) offre alcuni suggerimenti su come mettere le prime linee nelle migliori condizioni per accogliere rapidamente il ritorno di informazioni che si hanno dai commenti dei clienti ed implementare rapidamente strategie ed azioni di miglioramento della relazione con i clienti stessi.
Mi hanno incuriosito due cose: una check list in 5 punti che gli autori suggeriscono per verificare la capacità di un’organizzazione di raccogliere feedback e un indicatore sintetico (Net Promoter Score, NPS) messo a punto per classificare i clienti sulla base, sempre, dei loro feedback.
La check list:
1. Si è raggiunto un consenso sui cinque “momenti della verità” più importanti per l’azienda nel contatto con il cliente? (I “momenti della verità” sono quei momenti di contatto tra azienda e cliente che hanno un maggiore impatto sull’esperienza di acquisto e che maggiormente influiscono sull’opinione che il cliente stesso si forma dell’azienda).
2. I dipendenti e i manger ricevono regolarmente un feedback dei clienti, su base giornaliera o settimanale?
3. Ai clienti viene comunicato l’impatto dei loro feedback sul miglioramento delle procedure aziendali?
4. È nota la percentuale di detrattori dell’azienda che si trasformano in promotori in virtù dei processi di miglioramento del servizio?
5. Si può valutare in termini monetari la trasformazione di un detrattore in promotore? (I concetti di “detrattore” e “promotore” vengono spiegati nell’ottica dell’indicatore NPS)
Il Net Promoter Score (o “punteggio netto del promotore”) è un indicatore messo a punto da Reichheld, che divide immediatamente i clienti in tre categorie: promotori, passivi e detrattori.
Viene calcolato con una semplice domanda:
Consiglierebbe (questa azienda / questo prodotto) ad un suo collega o ad un suo amico?
Chi risponde 9 o 10 viene classificato come promotore, chi risponde 7 o 8 è passivo, da 6 in giù è un detrattore.
Attraverso questo indicatore è possibile, secondo gli autori, dare un feedback immediato alle prime linee sulla qualità delle loro relazioni con il cliente e mettere in campo azioni correttive e migliorative in tempi molto rapidi.
Le domande che mi sono posto leggendo questo articolo: è possibile applicare dei principi simili a questi in ambito formativo?
Come andrebbe adattata la check-list se il prodotto fosse un percorso formativo e magari fosse il formatore stesso a raccogliere i feedback?
Quali potrebbero essere i momenti della verità?
Come comunicare l’impatto dei feedback sul miglioramento del processo (sia che questo miglioramento impatti su quello stesso processo formativo e sia quindi utilizzabile sui partecipanti stessi, sia che invece impatti su edizioni successive e quindi non direttamente sui partecipanti)?
È possibile ipotizzare un indicatore sintetico come il NPS? Con quali caratteristiche?
Vi giro le domande. Qualsiasi idea è benvenuta!
Ottima domanda! La risposta è sì: si può applicare un processo di raccolta di feedback alla formazione e, anzi, coloro che decidono di lavorare in un ambito di metodologie legate alla Qualità, devono proprio soddisfare questo requisito per provare che la formazione è andata a buon fine e ha soddisfatto il discente.
Essenzialmente il processo può essere suddiviso in due parti:
– un feedback immediato: si raccoglie durante e subito dopo l’intervento formativo per verificare “a caldo” se i concetti sono stati recepiti e se l’insegnante è stato apprezzato dagli “studenti”
– un feedback dopo un periodo di 2-3 mesi: come sappiamo, molto di ciò che ascoltiamo durante una lezione non lo impariamo davvero fino a quando non facciamo intervenire alcuni meccanismi che ci mettono in grado di “fissare” le nostre conoscenze.
Uno di questi meccanismi è la ripetizione, un altro è quello di utilizzare dei “trucchi” mnemonici per aiutarci a ricordare i concetti.
Il terzo e più importante, infine, è applicare ciò che abbiamo appreso.
Un feedback a distanza di qualche mese dalla lezione, dunque, è fondamentale per vedere cosa si è portato in azienda dei concetti appresi e, soprattutto, come li abbiamo adattati alla nostra realtà per migliorarla e trasformarla.
Le check list in entrambi i casi possono essere semplici e volte a riscontrare il valore aggiunto che ogni discente ha portato con sé dopo la formazione.
Grazie QualitiAmo.
Gli stimoli sono interessanti.
Rilancio una domanda: quali possono essere, all’interno di un percorso formativo, i momenti della verità?
Lavoro da qualche anno come RQ di un’organizzazione formativa e dalle esperienze raccolte posso tranquillamente affermare che qualitiamo rispondendo che è possibile non sbaglia.
Chiaramente la checklista va senz’altro adattata. Così come formulata non è adatta, specialmente nei punti finali.
Nei percorsi formativi (prima si deve però in ogni caso stabilire quale è l’utente – ragazzi, giovani, universitari, professionisti, … ? – per poi stabilite i “momenti della verità”.
In tutti i casi la definizione e comunicazione degli obiettivi formativi rappresenta una pietra miliare.
Frequenti momenti di feedback durante l’erogazione della formazione è un’ulteriore paletto da mai dimenticare.
Riesami del processo formativo sono auspicabili per percorsi lunghi. Verifiche intermedie e certificazioni sono pure necessarie. Valutazione della soddisfazione, ad hoc, mai sistematica, mai banalizzata!
Revisione conclusiva sempre, se il processo va riproposto, s epossibile (auspicabile) se il processo fosse “unico”.
Ciao Luca e ciao Dario.
E’ vero, per stabilire quali punti verificare e quando farlo è importante appurare quali sono gli obiettivi della formazione e a chi si rivolge.
Proviamo a fare un esempio pratico: la formazione che si eroga a scuola difficilmente potrà essere messa in pratica sul campo in tempi brevi quindi la verifica andrà fatta necessariamente sulla teoria.
Diverso, invece, il discorso già fatto per una formazione di tipo professionale dove è importantissimo vedere come i concetti appresi sono diventati parte del bagaglio di conoscenze del discente fino a renderlo capace di affrontare una certa situazione in modo più efficace o più efficiente.
Ancora diverso sarà il discorso per chi imparerà ad usare una macchina a controllo numerico (un corso molto “pratico”) o per chi studierà i concetti di base di una metodologia come, ad esempio, il metodo di produzione di Toyota o gli strumenti per ridurre gli sprechi (un corso molto “teorico”).
Davvero fare un discorso teorico individuando i “momenti della verità” non è semplice…
Qualitiamo, mi fa davvero piacere che il discorso si stia ampliando e approfondendo.
Sulla formazione a scuola, io oso affermare che oggi, sebbene la scuola sia rimasto un mastodonte con inerzie enormi (ma è plausibilissimo), oggi, dicevo, l’eperienza pratica, il trasferimento rapido del sapere è praticato e anche bene.
Il passaggio dal sapere al saper fare ed al saper essere è sempre più supportato e messo come obiettivo della formazione, anche a livelli inferiori dis cuola…
Chiaro che, per le formazioni professionalizzanti o di formazione continua, è essenziale l’esercizazione e la sua misurazione…
🙂
“oggi, dicevo, l’eperienza pratica, il trasferimento rapido del sapere è praticato e anche bene.”
Davvero Dario? Anche in Italia? In maniera diffusa e non solo in aree di eccellenza?
Non so, non ho esperienza diretta in questo campo e mi baso solo su sensazioni personali e su ciò che leggo sulla situazione scolastica italiana ma mi fido di ciò che dici visto che tu lavori proprio in questo settore.
Ciao!!! 🙂