Cominciare e finire

Ho già detto che Lezioni americane di Italo Calvino è un libro che mi ha molto influenzato.

In alcune edizioni del libro, c’è una appendice, intitolata “Cominciare e finire“.

Eccone l’incipit:

Cominciare una conferenza, anzi un ciclo di conferenze, è un momento cruciale, come cominciare a scrivere un romanzo. E questo è il momento della scelta: ci è offerta la possibilità di dire tutto, in tutti i modi possibili; e dobbiamo arrivare a dire una cosa, in un modo particolare. Il punto di partenza delle mie conferenze sarà dunque questo momento decisivo per lo scrittore: il distacco dalla potenzialità illimitata e multiforme per incontrare qualcosa che ancora non esiste ma che potrà esistere solo accettando dei limiti e delle regole.

Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo, una somma di informazioni, di esperienze, di valori – il mondo dato in blocco, senza un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita; e noi vogliamo estrarre da questo mondo un discorso, un racconto, un sentimento: o forse più esattamente vogliamo compiere un’operazione che ci permetta di situarci in questo mondo. Abbiamo a disposizione tutti i linguaggi: quelli elaborati dalla letteratura, gli stili in cui si sono espressi civiltà e individui nei vari secoli e paesi, e anche i linguaggi elaborati dalle discipline più varie, finalizzati a raggiungere le più varie forme di conoscenza: e noi vogliamo estrarne il linguaggio adatto a dire ciò che vogliamo dire, il linguaggio che è ciò che vogliamo dire.

Mi sembra il modo migliore per fare un passo ulteriore nella riflessione iniziata in questo post.
E di tutto quello che abbiamo scritto in tema di creatività.

7 commenti
  1. stefano gatti dice:

    Lezioni americane è un libro “visionario”. Se pensiamo che è stato scritto nel 1985 e anticipa molti concetti che stiamo ritrovando nella comunicazione del web e non solo …

  2. Paolo dice:

    L’incipit è fantastico, grazie Luca per averlo riportato. Calvino è un maestro nel trovare temi su cui si può riflettere all’infinito. Sono però d’accordo con quanto ho trovato su un sito, dove c’è un commento al tuo post, e cioè che il problema sta soprattutto nel capire quando una cosa, un lavoro si può dire che è finito. È li che casca l’asino.

  3. tritono dice:

    Direi, da compositore (il termine artista, così abusivamente abusato non mi si attaglia)che il concetto chiave è quello di “fine provvisoria”. Un creatore ferma la sua ricerca solo con la propria morte. Pensiamo a quanti Artisti (quelli veri, con la A maiuscola)hanno passato la loro vita a riscrivere alcune composizioni, modificandole, riscrivendole, stracciandole e ristrutturandole.
    Basti pensare ai quaderni di appunti beethoveniani,alle tormentate riscritture wagneriane … e si potrebbero fare mille altri esempi. Oppure, ma non è una cosa così dissimile, ricordiamo gli artisti che hanno considerato un lavoro finito, nel senso che non lo hanno più ripreso e modificato, ma hanno nei lavori successivi affrontato le stesse tematiche, gli stessi “nodi irrisolti” lasciati in sospeso nei lavori dichiarati finiti. Se Panta rei, tutto scorre, come può essere che esseri “finiti” (nel senso di limitati) come noi umani possiamo creare cose finite (nel senso definitivo del termine)?

  4. Attuazione.com dice:

    Tritono, d’accordissimo.
    Ci sono però due problemi nel management che di solito non si incontrano nell’arte, o se si incontrano hanno una intensità minore, e riguardano da un lato il tempo, dall’altro le persone.
    Nel management c’è un tempo per fare le cose e, passato quel tempo, forse non le puoi più fare. Non sempre puoi riprendere in mano e recuperare.
    Pontiggia diceva ( ma forse citava qualcuno) che scrivere in fondo è correggere, correggersi. Questo lo puoi fare se hai tempo. Se puoi permetterti di rivedere e di riprendere. Nel management il tempo non sempre lo decidi tu.
    L’altro aspetto è che nel management ci sono gli altri con cui hai a che fare. Ostacolano, comprendono, aiutano, sono lenti, capiscono, non capiscono, sbagliano, rovinano, … C’è di tutto. Nel management non c’è l’artista, il solista. Non è tutto in mano ad un singolo. Per questo le metafore e le analogie sul management e la leadership che fanno riferimento all’arte lasciano il tempo che trovano. Vedi per esempio l’analogia sviante tra direttori d’orchestra e leader. Senza parlare delle analogie con il mondo dello sport. È come confrontare mele con pere.
    Come si può dire nel management che un lavoro è finito e fatto bene? E chi lo dice?

  5. Luca Baiguini dice:

    Discussione interessantissima, grazie.
    Una sola nota sull’uso di analogie tra management e sport e tra management e arte.
    Credo che non dobbiamo necessariamente fissare l’attenzione sugli elementi di similitudine: si possono trarre indicazioni interessanti anche dalle differenze.
    In questo senso, l’uso della metafora e dell’analogia in ambito formativo è un processo complesso, divertente, forse, in un certo senso, un po’ artistico, nel senso così ben espresso da Tritono.

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  1. Cominciare e finire ha detto:

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