Vale la pena celebrarsi?
Un paio di cose a cui ho assistito, e che mi hanno fatto riflettere.
Vi pongo semplicemente la domanda che mi hanno suscitato, a voi considerazioni ed eventuali risposte.
Primo episodio.
Lunedì scorso, a Nove in punto (la trasmissione condotta da Oscar Giannino su Radio24), era ospite Giorgia Meloni, ministro della Gioventù. Tema: la Festa Nazionale del 17 marzo prossimo.
A Giannino, che argomentava ponendo alcune critiche alla decisione di indire una nuova Festa Nazionale e sulla scelta del 17 marzo, la Meloni risponde così:
… Le valutazioni che lei fa, Giannino, sia sul piano storico che culturale ed economico sono tutte valutazioni assolutamente interessanti.
Io penso, però, che ci sia una questione: noi, quando si tratta di questi temi, cioè quando si tratta di noi, dell’Italia, del senso di appartenenza, delle ragioni che ci legano, e del fatto che ogni tanto, come in qualunque grande Nazione del mondo, vale la pena di celebrarsi, noi facciamo esattamente quello che fa lei: spacchiamo il capello in quattro.
Stiamo a vedere se le date che abbiamo scelto sono le date perfette, se gli uomini erano uomini perfetti, se i nostri trascorsi storici erano all’altezza, se non valga la pena di farlo in un’altra maniera, se culturalmente sia quello l’elemento da valorizzare. Il che è straordinario, sicuramente. Però ci ha man mano tolto il gusto di celebrarci, che è parte del vivere comune di ciascuna nazione del mondo.
Secondo episodio.
Qualche settimana fa, stavo seguendo alla TV una partita di Volley tra Macerata e Trento. Durante un time-out nel quarto set, l’allenatore di Macerata e della Nazionale Italiana Mauro Berruto ha parlato con i suoi atleti più o meno in questo modo:
Vi voglio dire due cose. La prima… [e qui ha dato alcune indicazioni di carattere tecnico]
La seconda: siamo quasi riusciti a portarli al tie-break. Siamo ancora capaci di goderci un momento come questo? Siamo ancora capaci di godere e di gioire per un punto fatto bene? E allora facciamolo!
Le parole non erano esattamente queste, ma il senso, mi è parso, sì.
Che mi pare somigli a quanto detto dalla Meloni.
Mi sono chiesto, allora, quanto sia importante per un team, per un’azienda, per una nazione, ma anche per un individuo, conservare il gusto di celebrarsi, di gioire per un punto fatto bene.
Vi giro la domanda.
Fondamentale Luca … i momenti di celebrazione sono quelli dove più si cementa il team ed il gruppo: che ti permette di lottare quando le cose girano male per potere godere attimi di questo tipo.
Farò un po’ l’avvocato del diavolo, (indosso il Cappello Nero di De Bono …). leggendo il tuo articolo mi è nata spontaneamente una domanda:”ma possiamo paragonare una squadra sportiva alla nazione Italia” ?
Siamo proprio così sicuri che l’Italia sia una squadra ? Chi è il nostro Leader ? Che Obiettivi abbiamo ? Che Ruolo gioco io, in questa squadra ? C’è senso di appartenenza ?
celebrare e’ importantissimo!
celebro sempre i successi, sia miei personali che del team.
aiuta molto, aumenta l’energia e la motivazione, migliora la qualita’ della vita, anche sul lavoro.
il rinforzo positivo funziona a tutte le eta’
se poi gli obiettivi sono correttamente segmentati, ci sono piu’ opportunita’ intermedie per dare spazio alla celebrazione
Grazie per i commenti, davvero interessanti.
La questione che sta dietro alla domanda mi pare stia proprio qui: vale la pena rinunciare a “spaccare il capello”, e, quindi, magari, anche a una quota di verità per creare momenti di celebrazione identitari?
Ci sembra che la questione vada divisa in due:
Da un lato ci sono celebrazioni di anniversari, ricorrenze, compleanni, feste… e qui si colloca la Festa Nazionale del 17 marzo. (Bella o brutta che sia, giusta o sbagliata che sia, comunque ci sta).
Queste celebrazioni ri-portano indietro, fanno riflettere, servono per ricordare le ragioni e i perché, danno il senso di qualcosa di più grande di te, stimolano il capire.
Dall’altro le celebrazioni per godere di un risultato, di un traguardo raggiunto, di una sfida superata. Un rinforzo che molti dicono essere positivo.
Non ci crediamo.
Le celebrazioni dei successi sono spesso pericolose e false. Collocano i meriti in modo starato. Si è visto più volte celebrare successi dovuti a tutto meno a chi li celebrava.
È vero che dipende molto dal voltaggio e dalla durata della celebrazione, tuttavia in genere ci appaiono cose che servono per mascherare dell’altro.
Un po’ come per la motivazione. Se ne parla tanto, si dice che serve, si dice che senza di essa non si possono fare le cose. Ma il solo dirlo fa capire che manca.
questioni interessanti che mi spingono a riflettere. PRIMA:è vero che non siamo come nazione una squadra e in questo momento sento divisioni profonde, la tendenza a contrapporsi per tantissime ragioni che ora è marginale ricordare: ma è anche vero che se non vogliamo ritrovarci chiusi nelle nostre “identità condominiali” abbiamo bisogno di alimentare la consapevolezza e la visibilità di ciò che ci unisce (compresa la ns storia che pochi conoscono davvero).Questo ci permetterebbe di essere viaggiatori aperti e orientati all’inclusione piuttosto che all’esclusione. Celebrarci in questo senso può essere una buona “medicina”
SECONDA questione: quando si condividono mete, obiettivi, lavoro (intelligenza e fatica condivise) celebrarsi senza dividere il capello in 4,fare festa insieme x anniversari, vittorie, successi,permette di assimilare le diversità, di amalgamare suoni e colori differenti, di generare quell’armonia di cui si ha bisogno per essere forti, per affrontare le sfide e “stare bene”. Quando non lo facciamo ci ritroviamo poi in affanno e con poco ossigeno. Ma in questo caso è importantissimo che la festa non sia solo formale, che sia sinceramente festa. E che ci sia spazio anche per il bastaian contrario che spacca il capello in 4.
Complimenti per il tema e per le argomentazioni davvero interessanti. Vorrei portare anche il mio piccolo contributo di responsabile di un “corposo” gruppo di Volontari, laddove i processi motivazionali, sebbene molto differenziati, sono comunque fondamentali per il buon fnzionamento del team (soprattutto in scenari stressanti come quelli che a volte viviamo noi).
Trovo che la celebrazione sia un momento fondamentale nel momento in cui il successo sia raggiunto anche in maniera non poerfetta. Ugualmente trovo che la celebrazione perda di vigore nel momento in cui risulta “obbligata” da una scadenza determinata. Ritengo infatti che un conto sia celebrare un successo nella sua immediatezza, un conto celebrare una determinata ricorrenza prestabilita. Il primo lo trovo più legato al sottolineare il raggiungimento di un obiettivo, il secondo a qualcosa che ha a che fare con la necessità di definire una identità, una appartenenza ad un gruppo anche attraverso un “rituale”.
Grazie
Si, varrebbe veramente la pena. Ma chi è il nostro allenatore che ci sollecita all’autocelebrazione? Lo sto cercando per me, ma non lo trovo.Sono sempre una nota dissonante, un colore discordante. Quanto mi piacerebbe far parte di un’orchestra diretta da un ottimo maestro!