Essere bravi o essere i più bravi?
Una riflessione a caldo, senza struttura: ci sono delle volte in cui essere bravi è sufficiente, altre in cui essere bravi non serve a nulla, si deve per forza essere i più bravi o, per lo meno, più bravi di chi ci sta di fronte.
Una prestazione sportiva, per esempio.
Durante una partita di tennis, o di volley, o di calcio, il fatto di aver giocato bene non serve a nulla, se non si è giocato meglio degli avversari (ammesso che il giocare meglio porti di per sé alla vittoria, ma questo è tutt’altro paio di maniche).
La misura della performance è una misura relativa che nasce soltanto dal confronto con la performance di qualcun altro.
E questo non vale soltanto per lo sport.
Vale in ogni situazione competitiva (sul mercato, all’interno di un gruppo per la conquista di una posizione, tra due eserciti in battaglia).
Ci sono, invece, situazioni che, per la loro assenza di competizione e, quindi, di confronto, richiedono una prestazione assoluta (nel senso di “non misurata relativamente ad altre prestazioni”).
La valutazione di un libro, per esempio, oppure, nel mio caso, la valutazione che viene fatta dai partecipanti di una lezione o di un intervento ad un convegno.
Questo giudizio avviene, per lo più, al di fuori del confronto.
Ora, non è detto che, in sé, un set competitivo porti a performance migliori perché confrontate con le prestazioni altrui. Certo, questo può rappresentare uno stimolo, ma anche un limite. Ci si può, infatti, accontentare di fare “un po’ meglio” rispetto agli avversari (o al termine di confronto), senza esprimere appieno il proprio potenziale.
Ora, magari sarà un pensiero sterile, ma mi domando quali differenze possano esserci nella preparazione e nell’esecuzione di questi due diversi tipi di performance.
Idee?
Mi piace iniziare la settimana con questo invito alla riflessione. Quello che posso dire dal mio punto di vista è che il mio carattere mi porta a dare il meglio di me e ad esigere il massimo dalle mie capacità in tutte le situazioni. Ammetto che mi piace la competizione (anche con me stesso).
Se il mio “meglio” non è stato “migliore” degli altri, può voler dire che i miei concorrenti erano molto bravi, più bravi di me.
Cerco di spiegarmi meglio con un esempio: quando facevo nuoto agonistico ricordo di avere ottenuto i migliori risultati quando partivo dando il meglio di me senza mai guardare – tra una bracciata e l’altra, a destra o a sinistra – dove fossero gli inseguitori: andavo per la mia strada con il mio ritmo in testa e molto spesso mi bastava per vincere.
Nel caso di una competizione, la differenza tra bravi e più bravi è data dalla carica interiore, la competitività e la concentrazione di ciascun partecipante.
Nel caso del confronto (valutare i partecipanti ad un corso di formazione) la differenza tra bravi e più bravi è data dal livello di motivazione personale a trovare nel corso quel qualcosa di speciale, quel valore aggiunto da portarsi a casa e sul quale lavorare.
Grazie per lo spunto e buona settimana!
Buon giorno e grazie per il richiesto di idee.
Secondo me, la differenza tra i bravi e i più bravi e difficile di misurare, sempre perdoniamoci per la mancanza di metrici scientifici. Il meglio di qualcuno si cambi ogni opportunità offerta, ogni giorno può darsi. Tutti noi possiamo cambiare il modo di lavorare, l’attitudine and quindi avere un altro risultato. I più bravi sono i più per attimi, tutto si cambia con grande velocità. Quindi l’importante è che ognuno sempre cerchi il “sweet spot,” dove i talenti è il mercato si trovanno. La vita non finisce quando arriviamo al meglio, anzi, diventa piu ricca (speriamo).
”… il fatto di aver giocato bene non serve a nulla, se non si è giocato meglio degli avversari” … personalmente non mi trovo del tutto d’accordo con questo concetto … preferisco pensare che “l’avversario” è lì per spingerti a dare il meglio che puoi, per tirarti fuori il più che sai, il massimo che ti riesce nelle condizioni date … anche perchè quasi sempre il vero avversario non è fuori, ma è dentro … allora “vinci” quando giochi un pò meglio di come hai fatto la volta prima (e di questo non puoi che essere soddisfatto, già appagato) e quando ciò si ripete nel tempo, diventa il tuo obbiettivo, presto o tardi arriverai a vincere anche fuori, anzi … la vittoria non costruita è una soddisfazione fugace e di scarsa qualità, proprio perchè occasionale; la partita giocata bene, al meglio delle proprie capacità, fornendo una performance eccellente, difficilmente si dimentica, anche qualora il risultato dovesse essere una sconfitta, nè abbatte troppo nel morale; perchè sai che è una, solo una sconfitta, ma la strada è quella giusta … per me il valore del “come” è almeno uguale a quello del “cosa”, meglio: il primo (come) al servizio del secondo (cosa), perchè è quello che dà senso all’agire, un senso duraturo …
Luca,
secondo me la differenza nella preparazione e nell’esecuzione di questi due tipi di performance sta nel desiderio prima e nella volontà poi di essere i più bravi. Quando penso alle mie prestazioni in aula penso ad essere il più bravo in assoluto, anche se non ho un altro formatore davanti. Questo è il mio desiderio e il mio sentimento. Non ho spiegazioni da dare se non quella che il “più bravo” ha un grande vantaggio competitivo, è al riparo dalla crisi e sopratutto è contento di se. Questo potrebbe essere un pensiero delirante ma fino a quando non me ne accorgo rimane valido.
Ciao e grazie per questi spunti divertenti.
Marco
A nostro parere occorre distinguere se si parla di competizione con se stessi o con altri e se il contesto è stabile o dinamico. Vale a dire se ci sono variabili fuori controllo.
Se si vuole battere se stessi in contesti stabili, bisogna essere più bravi di quanto lo si è stati in
precedenza anche se non si è più bravi di altri (batto il mio record personale sui 10 km, sono stato più bravo, ma so che non sono il più bravo).
Se si vuole battere qualcuno in contesti stabili (esempio una gara in piscina) lo si può fare essendo più bravi dei concorrenti e magari meno bravi del solito (concorrenti deboli). Oppure si può
perdere essendo stati più bravi del solito (concorrenti forti).
Se si è in contesti dinamici, si può avere successo anche se si è meno bravi del solito, per esempio ii un aula dove il docente non ha dato il meglio di se, tuttavia per una serie di combinazioni è risultato eccezionale. Ovviamente vale il viceversa: ha dato il meglio di se, è stato più bravo del solito, più
attento, più concentrato, più lucido e tuttavia non ha ottenuto il successo che si aspettava. Dipende da chi trovi.
Se poi si vuole vincere battendo altri in contesti dinamici, lo si può fare essendo anche meno bravi degli altri nella performance (esempio il Barcellona che perde dominando).
Morale: l’unica situazione dove occorre essere più bravi del solito – se si vuole ottenere un risultato soddisfacente – è quando si è in contesti stabili e ci si confronta con se stessi.
Situazione poco frequente e poco interessante. In tutti gli altri casi dipende.
Vien da dire, quindi, che non è importante essere bravi o più bravi, perché non sempre c’è una conseguenza diretta con i risultati. A volte conviene addirittura essere meno bravi.
In più c’è da aggiungere la dimensione tempo. Sono più bravo oggi ma alla lunga cambiando la situazione mi potrei ritrovare ritrovo in una condizione opposta. Basta guardare la fine di certe aziende considerate, per un certo periodo, le più brave e poi, improvvisamente, tutti a dire il contrario.
A nostro parere la riflessione più utile non è nel valutare se si è stati bravi o se si è stati più bravi.
La bravura è relativa e temporanea. Basta cambiare il termine del confronto e si scopre che non si è mai bravi. La riflessione più utile ci pare quella di chiedersi “cosa sarebbe stato se”. Vale a dire cosa sarebbe potuto succedere (di positivo o di negativo) se io avessi fatto a,b o c. Questo può servire per capire dove mettere le mani per essere un po’ più bravi. E, soprattutto, per capire che non si è mai bravi abbastanza.
Il vero gioco è sempre interiore.
Nello sport non esistono bravi o più bravi, proprio perché, come è stato sottolineato, la bravura non è costante.
Si può avere una maggiore dote di talento, ma non saperla usare. Se ne può avere meno, ma usarla benissimo.
Il gioco lo facciamo dentro di noi (The inner game of tennis – Timothy Gallwey).
Se vianciamo dentro di noi saremo in grado di fare la nostra migliore performance, che nello sport è quella che ci porta a massimizzare la probabilità di vittoria, mentre in situazioni meno misurabili ci porta a “trasmettere” il meglio di noi stessi.
Il limite fisico rimane, come altri limiti di talento. Il limite fisico come il talento non sono incrementabili.
Ma la performance sarà la migliore possibile.
The way I see it, the difference is whether or not you can do the benchmarking.
Essere bravi – can work if you don’t have competition (or the competition is poor) but if you are on competitive market then you have to measure your performance in order to position yourself and hopefully be better than the others ‘piu bravo’.
Also in order to be ‘piu bravo’ you should have tangible measurements that determine you are better or worse.
Long story short: Essere piu bravo has to respond on 2 questions – FROM WHO? and IN WHAT? This would effectively structure your performance, while for ‘essere bravo’ those questions are not so relevant, therefore not structuring your performance measurements in a rigid way.
PS. Sorry for post in English, my Italian is good only for reading 🙂
Brankica,
my english is good only for reading (I hope), I want to respond on your two question.
From who? Tutti quelli che fanno il mio mestiere
In what? Nel mio lavoro
Sorry for my bad English and poor Italian 🙂