Minimal stories
Per sgomberare il campo da ogni fraintendimento, affermo da subito di non essere un bravo storyteller.
Nonostante questo (o, qualcuno potrebbe dire, proprio per questo), durante le mie lezioni, mi vengono poste spesso domande che somigliano a questa:
Dove trovi le storie che racconti quando devi spiegare un concetto complesso o controintuitivo?
La risposta è, naturalmente, “Ovunque“.
Basta sapere che cosa cercare, e le occasioni per trovarlo si moltiplicano, no?
Eppure in questi giorni, ripensando ad alcune storie che mi capita di raccontare durante i miei seminari, ho notato una caratteristica che accomuna quasi tutte le mie narrazioni: si tratta di storie “pop”.
Intendo dire che sono quasi sempre episodi minimi, con una trama quasi nulla, o con personaggi che vengono dal mondo dei film d’animazione o della fiction, oppure direttamente correlate con la mia vita familiare e quotidiana. Nulla di epico, o di profondo, o di una qualche sua consistenza narrativa.
Eppure, lo ripeto, per lo più uso queste storie per illustrare concetti di una certa complessità, o ad alto impatto sulle convinzioni delle persone e del gruppo che ho di fronte.
Alcune delle narrazioni sono finite anche su questo blog:
- Sindrome sul blog di Harvard
- Too good
- Altari da costruire e pozioni magiche
- Il capolavoro di Antoni Gaudí
- Tra diteggiatura e interpretazione
Il perché di tutto questo discorso è presto detto: sono attratto da questo squilibrio tra “peso della storia” e “peso del concetto” che la storia dovrebbe veicolare.
Credo ci sia una propensione dietro: la propensione a pensare che anche delle narrazioni minime (e i minimi episodi che alimentano queste narrazioni) possano portare con sé messaggi importanti.
Il fatto è che il gran numero (e crescente) di narrazioni ed esperienze che animano la nostra vita ci costringono a scegliere. E il modo più veloce di scegliere è quello di basare la scelta sull’assunzione che storie semplici, banali e “pop” non possano portare con sé un qualcosa che valga la pena comprendere e approfondire.
Mi sto convincendo che non è così.
Per questo vi chiedo il vostro contributo.
Avete altri di questi esempi?
(ammesso che abbia spiegato con sufficiente chiarezza che cosa intendo, e se così non fosse, aiutatemi a chiarire)
Come chiamereste questo genere di narrazioni?
Chissà che, a partire da questo post, non possa nascere un progetto di qualche interesse.
Ho letto le storie che hai linkato e ho visto la questione in maniera diversa: le storie in sé non portano un significato, ma permettono di ancorarne uno nella mente dell’ascoltatore o stimolarlo a una riflessione. Ho visto il film gli incredibili, ma mai avrei colto il concetto dell’importanza della differenza relativa rispetto alla caratteristica in assoluto. D’altra parte non è un concetto in sé difficile. Bastava la citazione latina a chiarificarlo, MA a una citazione in latino si pensa molto meno spesso che a un film divertente. Indubbiamente il pop àncora meglio (sta poi a chi deve passare il concetto trovare l’analogia tra esso e una storia “digeribile” 🙂 )
E’un argomento interessante. In questo momento sto leggendo CULTURA CONVERGENTE.
A caldo si potrebbe dire che ci stiamo dirigendo verso scambi culturali facilitati dalla rete molto diversi da quelli a cui siamo abituati.Mi pare che il rapporto da maestro ad allievo, da autore a lettori piano piano stia sfumando.Non avevo idea di come la rete può creare autoevoluzione.
Il piacere di scambiare storie belle o brutte, ma scritte personalmente, dà la possibilità di esprimersi in prima persona. Tutto questo è salute secondo me.Sarei molto felice di condividere riflessioni ed elaborazioni. Sto lavorando sul nw http://www.creativi.culturali.ning.com e tutti i giorni mi chiedo cosa fare per indurre gli iscritti ad esprimersi. Un saluto grazie. anna