Grifagno, murmure, retrivo
Sto leggendo Foravìa. Mi piace come scrive Dario Voltolini. La sua lingua, proprio.
Che in realtà è anche la mia: l’italiano.
Però lui la sa usare e allora succede che a tratti mi sembra proprio una lingua diversa. Tanto diversa, per capirci, che qualche volta devo aprire il dizionario, come per l’inglese o il francese. Solo che è italiano.
Allora mi è venuta una curiosità: sapere che faccia ha Voltolini, e magari anche qualche cos’altro di lui. Tanto è facile: c’è la voce su Wikipedia. Ho scoperto che gioca a pallone. Non l’avrei mai detto.
Poi ho scoperto che c’è anche un video: lui che presenta un suo libro insieme con Alessandro Baricco. Ho ascoltato il video (ascoltato, sì: io un video così lo scarico e poi me lo ascolto in auto, mentre viaggio. I gusti son gusti) e dentro ci ho trovato una cosa mi è piaciuta un sacco: quando racconta che da piccolo si divertiva ad aprire il dizionario e trovare delle parole, di quelle che non si usano. Poi succedeva che doveva scrivere un tema, e gli veniva voglia di usare quella parola lì, e allora cercava di portare avanti il tema in modo da potercela in qualche modo infilare: l’inversione del processo che porta chiunque scriva qualcosa a cercare la parola giusta per esprimere un’idea.
Lui cercava un’idea giusta per poterci mettere quella parola.
Poi dice anche che questa cosa gli succede ancora, ogni tanto.
Ecco. Prima ho scritto che Voltolini la lingua la sa usare.
Forse sarebbe meglio dire che sa farsi usare dalla lingua.
È una cosa piuttosto bella, mi sembra.
Per dire: io ho aperto il dizionario e ho trovato “Grifagno”, “Murmure”, “Retrivo”.
Qualcuno mi suggerisce come usarle?
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