Cent’anni
Questa mattina mi sono svegliato con la notizia della morte di Gabriel García Márquez.
Due pensieri.
Il primo, un ricordo di trent’anni fa.
Liceo Scientifico.
Il professore di italiano che entra nell’aula con Cent’anni di solitudine sotto il braccio.
“Questo dovreste proprio leggerlo”, dice.
L’ho letto.
Credo che fossero le prime avvisaglie di conformismo.
Quella volta, però, mi ha detto bene.
Ottimo consiglio, prof.
Il secondo pensiero ha a che vedere con gli inizi di questo blog.
Il primo post scritto qui è una citazione di García Márquez:
“La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”.
Sono passati quasi otto anni, ma mi è tornato in mente un dettaglio: nel momento in cui ho deciso che sarebbe stata una citazione ad aprire questa piccola avventura, ho scelto prima l’autore della frase. Per dire che quello che cercavo non era un suo pensiero, era il suo pensiero, il suo modo di guardare le cose di sguincio. Quello sguincio lì. Suo.
È una delle cose belle della lettura, questa voglia di incontrare un modo di guardare il mondo.
Non sono molti gli autori che mi chiamano così. Saranno una decina, forse meno. Ci sono alcuni narratori e alcuni saggisti. Certo, quando questo sguardo è colato dentro ad una storia, è ancora più divertente.
E allora mi capita ancora adesso di aprire la libreria, prendere un libro di García Márquez, aprire una pagina a caso e puntare qualche riga, a caso. Alla ricerca del suo pensiero.
Questa mattina, era presto, il libro non l’ho preso a caso.
L’ho scelto.
Cent’anni di solitudine.
Che i cerchi si chiudono dove si sono aperti.
La pagina, invece, l’ho lasciata al caso.
E pure le righe.
Queste:
I gringos, che più tardi fecero venire le loro mogli languide in abiti di mussolina e grandi cappelli di tulle, costruirono un villaggio a parte dall’altro lato della ferrovia, con strade bordate di palme, case con finestre protette da reticelle metalliche, tavolini bianchi sulle terrazze e ventilatori a pale appesi al soffitto, e vasti prati azzurri con pavoni e coturnici. Il settore era limitato da una rete metallica, come una gigantesca capponaia elettrificata che allo spuntare del giorno nei freschi mesi estivi s’anneriva di rondini bruciacchiate.
87 anni.
Sarebbe stato bello vederlo festeggiare i cento.
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